L’evento si apre riassumendo i punti chiave relativi al percorso di incontri: le malattie cardiocircolatorie rappresentano la principale causa di morte nel mondo, sia nella popolazione generale che nei pazienti con artrite reumatoide. I pazienti con artrite reumatoide hanno un rischio maggiore di sviluppare eventi cardiovascolari e tendono a morire dieci anni prima rispetto alla popolazione generale.
Una gestione efficace dell'artrite reumatoide richiede una comprensione dei fattori di rischio cardiovascolari, sia tradizionali (ipertensione, dislipidemia) che non tradizionali. specifici per questa condizione autoimmune.
Nel primo incontro sono stati discussi i fattori di rischio cardiovascolare, l'identificazione dei pazienti che necessitano di una visita cardiologica, l'impatto dello stile di vita sul benessere dei pazienti con artrite reumatoide e la necessità di un approccio multidisciplinare nella gestione di questa categoria di pazienti.
Nel secondo incontro di aprile, si è parlato della valutazione del rischio cardiovascolare, degli score e della diagnostica per immagini. È emerso, con evidenza, che è fondamentale aumentare la consapevolezza del rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide, assolutamente paragonabile e assimilabile a quello dei pazienti diabetici.
Una corretta valutazione del rischio cardiovascolare da parte dei reumatologi (utilizzando score e tecniche di imaging) può migliorare l'aspettativa e la qualità della vita dei pazienti, con un impatto positivo che può ripercuotersi anche nelle valutazioni economiche. Correggere i fattori di rischio cardiovascolari consente di utilizzare in modo più sicuro ed efficace i farmaci per l'artrite reumatoide più adatti ai pazienti. È importante gestire i pazienti con team multidisciplinari, rendendo il medico di medicina generale un attore attivo e alleato dello specialista.
Farmaci DMARDS convenzionali e loro impatto sul rischio cardiovascolare nella gestione dell'artrite reumatoide
Prof. Matteo Piga
• Tra i DMARDs convenzionali, il metotrexate occupa una posizione di rilievo nella terapia di prima linea per questa patologia. Tuttavia, è necessario valutare se gli altri DMARDs convenzionali possano ancora trovare spazio nel trattamento dell'artrite reumatoide, concentrandoci principalmente sul controllo del rischio cardiovascolare. Esamineremo gli effetti metabolici aggiuntivi dei DMARDs convenzionali, oltre al controllo dell'infiammazione, con un focus specifico sull'uso dei glucocorticoidi.
• Il rischio cardiovascolare nell'artrite reumatoide è influenzato dall'infiammazione stessa (che costituisce il meccanismo patogenetico chiave della malattia) e dai fattori di rischio tradizionali. I farmaci agiscono su questo complesso meccanismo attraverso due principali effetti: il controllo dell'infiammazione e gli effetti metabolici che riducono l'impatto dei fattori di rischio tradizionali. Tuttavia, alcuni farmaci possono comportare effetti collaterali che devono essere attentamente monitorati per evitare un aumento del rischio cardiovascolare.
• È noto che i pazienti con artrite reumatoide e elevata attività di malattia hanno un rischio cardiovascolare differenziato in base al fenotipo della malattia. Pertanto, oltre al controllo dell'infiammazione, anche il profilo sierologico (es. positività per gli ACPA) e il substrato genetico (HLA-DRB1 shared epitope alleles) influenzano il rischio cardiovascolare.
• È essenziale valutare attentamente l'attività di malattia e i fattori prognostici negativi per ridurre il rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide (LG EULAR, CORDIS). Si sottolinea, quindi, l'importanza primaria della valutazione dell'attività della malattia e dei fattori prognostici negativi nei pazienti con artrite reumatoide come primo passo nella valutazione del rischio cardiovascolare. Per i pazienti con elevata attività di malattia, è fondamentale valutare il rischio cardiovascolare ad ogni visita, poiché l'aumento del rischio è intrinseco alla malattia stessa. Pertanto, è essenziale adottare una scelta terapeutica mirata al controllo dell'attività della malattia nei pazienti con malattia attiva.
• In quest’ottica, il metotrexate rappresenta la scelta terapeutica di prima linea ma, in presenza di controindicazioni, possono essere considerati altri DMARDs convenzionali. Tuttavia, il metotrexate rimane il farmaco di riferimento, data la sua capacità di ridurre la mortalità generale e il rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide.
• L'utilizzo dei DMARDs convenzionali, incluso il metotrexate, può essere associato a un breve corso di glucocorticoidi a basso dosaggio. Tuttavia, l'uso prolungato o dosaggi elevati di glucocorticoidi sono associati a un aumento del rischio cardiovascolare e devono essere evitati.
• Attraverso il tight control, il paziente deve essere valutato regolarmente. Se dopo sei mesi di monitoraggio non ci sono fattori prognostici convenzionali, è necessario modificare il DMAR convenzionale oppure aggiungere una terapia combinata con altri DMAR convenzionali. Oltre a quelli già citati, come il metotrexate, la leflunomide e la sulfasalazina, questa combinazione può includere anche l'idrossiclorochina.
• I DMAR convenzionali sono ancora ampiamente utilizzati per il controllo dell'attività di malattia nell'artrite reumatoide. La prima scelta è il metotrexate, e ciò è dovuto al fatto che questo farmaco è in grado di ridurre la mortalità complessiva nei pazienti affetti da artrite reumatoide. Inoltre, se distinguiamo tra mortalità per cause cardiovascolari e non cardiovascolari, il metotrexate si dimostra ancora significativamente superiore rispetto agli altri farmaci nel ridurre il rischio di complicanze gravi nei pazienti con artrite reumatoide.
• I dati di una metanalisi che confrontano l'efficacia del metotrexate con altri DMAR convenzionali nel raggiungimento di una bassa attività di malattia, mostrano che l'unico farmaco con un'efficacia comparabile è la leflunomide. Al contrario, l'azatioprina, la sulfasalazina risultano meno efficaci rispetto al metotrexate. Pertanto, il metotrexate è chiaramente superiore agli altri DMAR convenzionali nel controllo dell'attività di malattia, con un'efficacia pari solo alla leflunomide, mentre tutti gli altri risultano inferiori.
• Rispetto al metotrexate, la leflunomide e la sulfasalazina hanno un tasso di interruzione del trattamento più elevato a causa degli eventi avversi, indicando un profilo di sicurezza inferiore. In particolare, la leflunomide è associata a un significativo aumento della pressione arteriosa, quindi, di un importante fattore di rischio cardiovascolare.
Tuttavia, non ci sono differenze statisticamente significative tra questi farmaci riguardo agli eventi cardiovascolari gravi come infarto miocardico, ictus o arresto cardiaco.
• Da uno studio emerge che nuovi casi di ipertensione sono stati riscontrati nel 90% dei pazienti trattati con leflunomide e solo nel 10% di quelli trattati con metotrexate.
Questo indica che c'è ancora una possibilità di utilizzo della leflunomide nei pazienti con artrite reumatoide che non possono assumere metotrexate, ma è importante considerare che l'uso di leflunomide nei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare può aumentare ulteriormente il rischio cardiovascolare, soprattutto per l'aumento della pressione arteriosa sistolica.
• Un'analisi trasversale del 2006 valuta il rischio di malattie cardiovascolari nei pazienti con artrite reumatoide trattati con diversi DMAR convenzionali. Il modello di valutazione del rischio comprende l'età, il genere, il fumo e la durata della malattia.
I risultati mostrano che il metotrexate in monoterapia riduce in modo significativo il rischio cardiovascolare.
Anche l'associazione con la sulfasalazina è significativa nel ridurre il rischio, ma non è statisticamente più protettiva del metotrexate in combinazione. La combinazione di metotrexate, sulfasalazina e idrossiclorochina non aumenta ulteriormente l'efficacia nel ridurre il rischio cardiovascolare rispetto al metotrexate da solo. Tuttavia, quando si considerano i fattori di rischio tradizionali come diabete, ipertensione e ipercolesterolemia, il metotrexate da solo non è più efficace nel ridurre il rischio cardiovascolare in modo statisticamente significativo. Ma l'associazione del metotrexate con la sulfasalazina o la combinazione di metotrexate, sulfasalazina e idrossiclorochina raggiunge la significatività statistica nella protezione cardiovascolare dei pazienti con artrite reumatoide.
Questo suggerisce che gli effetti additivi dei DMAR convenzionali all'effetto del metotrexate possono aumentare la capacità di protezione cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide, soprattutto in pazienti con fattori di rischio prognostici negativi come il fattore reumatoide positivo e le erosioni radiografiche.
• Sia l'idrossiclorochina che la sulfasalazina sembrano possedere un potenziale nell'efficacia nel ridurre il rischio cardiovascolare, oltre al controllo dell'attività di malattia nell'artrite reumatoide. L'idrossiclorochina è particolarmente interessante poiché agisce direttamente sui meccanismi immunologici alla base dell'artrite reumatoide e dei processi aterosclerotici. Ha effetti positivi sul profilo lipidico, riducendo il colesterolo totale, LDL e trigliceridi e aumentando l'HDL, oltre a ridurre il rischio di sviluppare il diabete mellito. Questi effetti sono stati dimostrati in studi come quello del gruppo Wasko MCM, Lancet 2007. Inoltre, l'idrossiclorochina riduce lo stress ossidativo, la resistenza insulinica, l'attivazione endoteliale e il rischio trombotico. Questi risultati suggeriscono che, oltre al controllo dell'infiammazione, alcuni DMAR convenzionali come l'idrossiclorochina e il metotrexate, in misura minore la sulfasalazina, possono anche offrire benefici cardiovascolari. Al contrario, la leflunomide ha un effetto ipertensivo che potrebbe aumentare il rischio cardiovascolare.
• In merito all'uso dei glucocorticoidi e il loro impatto sul rischio cardiovascolare, diverse meta-analisi mostrano che dosaggi bassi (inferiori a 7,5 mg al giorno, soprattutto intorno a 5 mg al giorno per massimo 6 mesi), non aumentano il rischio cardiovascolare. Tuttavia, dosaggi più elevati, anche per un breve periodo, e dosi cumulative nel tempo sono associate ad un aumento del rischio cardiovascolare.
Anche dosi basse per periodi prolungati comportano rischi cardiovascolari. Quindi, se da un lato i glucocorticoidi sono utili per controllare l'infiammazione, dall’altro, il loro uso dovrebbe essere limitato nel tempo e alle dosi più basse possibili.
In conclusione:
- Il trattamento dell'artrite reumatoide dovrebbe puntare alla remissione e, al contempo, ridurre il rischio cardiovascolare, non solo mirando al controllo della malattia.
- Questo approccio potrebbe essere particolarmente vantaggioso in specifici pazienti, soprattutto quando combinato con il metotrexate per diminuire il rischio cardiovascolare.
- Tuttavia, l'efficacia completa di questa strategia nel controllo dell'attività della malattia deve ancora essere pienamente confermata.
- È possibile considerare l'uso di basse dosi di glucocorticoidi per brevi periodi, ma è fondamentale evitare dosi elevate per lunghi periodi, poiché ciò potrebbe aumentare il rischio cardiovascolare.
Discussione su terapie per artrite reumatoide
Differenza di dosaggio di prednisone tra lupus e artrite reumatoide:
• Nel trattamento del lupus, la dose di prednisone è stata ridotta a 5 mg, mentre per l'artrite reumatoide rimane a 7,5 mg.
• Le basse dosi di glucocorticoidi, come 7,5 mg, non aumentano significativamente il rischio per entrambe le patologie, ma si osserva un rischio inferiore con dosaggi più bassi, come 5 mg, nell'artrite reumatoide.
Efficacia del metotrexate:
• Il metotrexate, oltre ad agire come antinfiammatorio, ha dimostrato di avere effetti immunomodulanti.
• La sua azione stabilizzante sull'endotelio e sulla placca ateromasica lo rende un agente protettivo contro il rischio cardiovascolare, aggiungendo un beneficio oltre al controllo dell'artrite reumatoide.
Ruolo dell'acido folico con il metotrexate:
• L'uso combinato di metotrexate e acido folico (5-10mg) è fondamentale per ridurre il rischio di iperomocisteinemia, un effetto collaterale associato all'uso del metotrexate.
Effetto dei FANS sui rischi cardiovascolari:
• Mentre l'uso on demand di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) è considerato sicuro, l'uso cronico è associato a un aumento del rischio cardiovascolare, con implicazioni importanti nella gestione a lungo termine della malattia.
Ciclosporina e suoi effetti nell'artrite reumatoide:
• La ciclosporina, sebbene utilizzata in passato, non è raccomandata come monoterapia per l'artrite reumatoide a causa della sua inefficacia nel bloccare efficacemente l'evoluzione della malattia e dei rischi cardiovascolari e renali associati al suo utilizzo.
Ruolo della sulfasalazina nella gravidanza:
• La sulfasalazina è stata utilizzata in gravidanza per trattare l'artrite reumatoide, ma le nuove opzioni terapeutiche offrono alternative più sicure e efficaci, soprattutto per i pazienti ad alto rischio.
Considerazioni sull'uso della leflunomide e azatioprina:
• La leflunomide e l'azatioprina possono essere considerate in casi specifici di artrite reumatoide, ma con l'avvento di nuove terapie, la loro prescrizione è limitata a nicchie di pazienti con particolari esigenze terapeutiche. Tuttavia, le nuove terapie biologiche rappresentano opzioni più efficaci per molti pazienti.
METHOTREXATE, FARMACI ANTI-TNF E ANTI-IL6
Proff.ssa Fabiola Atzeni
• Nel contesto dell'introduzione del webinar, è stato sottolineato che, quando valutiamo un farmaco di fondo come un DMARD, è fondamentale considerare le due facce del farmaco: i processi di riparazione cellulare e i danni endoteliali. I DMARD possono essere classificati in base alla loro attività anti-aterogenetica o pro-aterogenetica.
• L’aterosclerosi è un processo complesso influenzato da molteplici fattori, tra cui infiammazione, fattori metabolici e il sistema della coagulazione. Diversi farmaci mostrano effetti variabili sull'aterogenesi.
Ad esempio, il metotrexate e gli anti-TNF sono potenti antinfiammatori che agiscono sull'infiammazione, il principale motore della patologia cardiovascolare. Il metotrexate ha una particolare capacità di migliorare il metabolismo glicidico, mentre gli anti-TNF influenzano anche il metabolismo lipidico.
• Uno studio tedesco ha seguito 250 pazienti con artrite reumatoide per 18 anni, dimostrando che il metotrexate riduce significativamente la mortalità, soprattutto nei pazienti con un miglioramento superiore al 20%. Questo effetto protettivo persiste anche quando l'infiammazione è sotto controllo, suggerendo un meccanismo autonomo del farmaco nel prevenire eventi cardiovascolari.
• Un trial clinico ha testato il metotrexate su quasi 5.000 pazienti della popolazione generale con fattori di rischio cardiovascolare ma senza artrite reumatoide, dimostrando che il farmaco non riduce gli eventi cardiovascolari in assenza di infiammazione.
Questo conferma che l'efficacia del metotrexate nella riduzione del rischio cardiovascolare è legata principalmente alla sua capacità antinfiammatoria.
• Una metanalisi del 2021 ha evidenziato che il metotrexate riduce la mortalità totale nei pazienti con artrite reumatoide del 41%, quella per eventi cardiovascolari del 28% e quella per interstiziopatia polmonare del 56%. È quindi un farmaco che ha degli effetti importanti proprio legati alla sua capacità antinfiammatoria anche sulla malattia extra-articolare, confermando ulteriormente il suo ruolo centrale per il reumatologo.
• Nel paziente con AR e diabete, il metotrexate mostra risultati attribuibili alle sue proprietà antinfiammatorie e alla capacità di migliorare il metabolismo glicidico, ridurre la resistenza all'insulina e agire sull'espressione delle molecole di adesione.
• Dal 1995, il metotrexate è utilizzato in reumatologia e si è dimostrato efficace sia in monoterapia che in combinazione con altri trattamenti. Tuttavia, con l'introduzione dei farmaci biologici alla fine degli anni '90, si è osservato un miglioramento della qualità della vita dei pazienti. Le citochine come il TNF e l'interleuchina-6, coinvolte nella patogenesi del danno articolare e nella formazione della placca ateromasica, sono bersagli terapeutici cruciali.
• Gli anti-TNF, riducendo l'infiammazione sistemica, migliorano la disfunzione endoteliale e l'arteriosclerosi. Studi hanno dimostrato che questi farmaci aumentano i livelli di HDL, riducendo così il rischio cardiovascolare. Inoltre, migliorano la sensibilità all'insulina, contribuendo a ridurre il rischio di diabete, un fattore di rischio cardiovascolare significativo.
Un importante studio condotto dal gruppo del professor Ferraccioli ha dimostrato che nei pazienti affetti da artrite reumatoide, trattati con anti-TNF, la vasodilatazione è significativamente aumentata rispetto a quelli non trattati, sottolineando il ruolo chiave del TNF nella disfunzione endoteliale e nel processo di arteriosclerosi.
• Un'altra informazione rilevante riguarda l'influenza degli anti-TNF sull'alterazione dell'assetto lipidico, un fattore critico nello sviluppo dell'arteriosclerosi. Si sa che i pazienti con artrite reumatoide presentano bassi livelli di HDL, e l'analisi sistematica con metanalisi ha mostrato che gli anti-TNF sono in grado di aumentare questi livelli nel breve, medio e lungo termine, con un effetto cardioprotettivo significativo.
Questi farmaci agiscono anche come potenti anti-infiammatori, migliorando la resistenza insulinica e quindi la sensibilità insulinica, oltre a ridurre la possibilità di sviluppare diabete, un importante fattore di rischio cardiovascolare.
• Una revisione sistematica con meta-analisi ha dimostrato che gli anti-TNF riducono maggiormente il rischio di sviluppare diabete rispetto ad altri farmaci come metotrexate e idrossiclorochina. Questi risultati sottolineano l'importanza degli anti-TNF nella riduzione del rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide.
• Oltre agli effetti sulla patologia cardiovascolare di tipo ischemico, gli anti-TNF influenzano anche la funzione cardiaca, come dimostrato da uno studio osservazionale che ha esaminato i pazienti con artrite reumatoide senza patologie cardiache preesistenti.
Dopo sei mesi di trattamento con anti-TNF, non sono state osservate modifiche nella frazione di eiezione del ventricolo sinistro, ma si è registrata una significativa riduzione dei livelli di NT pro BNP, indicativo dello stress della parete ventricolare.
Questi risultati suggeriscono che gli anti-TNF possano migliorare la funzione cardiaca nei pazienti con segni di sofferenza cardiaca.
• Un altro studio su 30 pazienti con artrite reumatoide ha evidenziato un'alterazione precoce della funzionalità del ventricolo sinistro, suggerendo un ruolo fondamentale dell'infiammazione nella compromissione cardiaca. Tuttavia, il trattamento con anti-TNF ha portato a un miglioramento della funzione ventricolare sinistra, indicando che questi farmaci possono essere efficaci non solo nel trattamento delle patologie cardiovascolari ischemiche, ma anche di quelle non ischemiche nei pazienti con artrite reumatoide.
• Sebbene gli anti-TNF riducano la mortalità cardiovascolare, non sembrano influenzare la severità degli eventi cardiovascolari come gli infarti. Tuttavia, la persistenza nel trattamento con anti-TNF è associata a una significativa riduzione della mortalità, con una diminuzione fino al 51% dopo tre anni di trattamento.
• Gli inibitori dell'interleuchina 6, come il sarilumab e il tocilizumab, mostrano un aumento del colesterolo totale e delle LDL, ma senza un aumento del rischio di sviluppare patologie cardiovascolari. Questo potrebbe essere dovuto al modo in cui l'interleuchina 6 modifica la struttura delle HDL da pro-infiammatorie a anti-infiammatorie attraverso l'enzima perossidasi.
• In uno studio su 3000 pazienti con artrite reumatoide, non sono state riscontrate differenze significative nell'incidenza di eventi cardiovascolari maggiori tra coloro che hanno ricevuto etanercept e quelli che hanno ricevuto tocilizumab, suggerendo che entrambi gli anti-interleuchina 6 e gli anti-TNF possono ridurre il rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide.
• Infine, una meta-analisi ha confermato che gli inibitori dell'interleuchina 6 sono associati a una riduzione dell'incidenza di infarto miocardico, senza influenzare la comparsa di ictus o scompenso cardiaco. Questi risultati sottolineano l'importanza di considerare il ruolo degli inibitori dell'interleuchina 6 nella gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide.
Discussione sull’impatto dei farmaci sul controllo del diabete e dell'assetto lipidico
Considerazioni sull'efficacia dei farmaci:
• I farmaci per l'artrite reumatoide hanno dimostrato un'efficacia significativa nel controllo del diabete e dell'assetto lipidico.
• Tuttavia, sospendere completamente le terapie contro il diabete e l'assetto lipidico non è raccomandato, poiché questi farmaci hanno un ruolo importante nella gestione di comorbidità e complicanze.
Ruolo dello stile di vita nella gestione delle patologie:
• Nonostante l'efficacia dei farmaci, è fondamentale educare i pazienti all’importanza dello stile di vita sano, che include una dieta equilibrata, l'esercizio fisico e il controllo del fumo, per prevenire patologie correlate e migliorare l'efficacia del trattamento.
Mantenimento delle terapie stabili:
• Dopo aver raggiunto il controllo delle condizioni mediche, è consigliabile mantenere stabili le terapie per evitare un peggioramento dei sintomi e delle comorbidità.
• L'interruzione intermittente delle terapie non è raccomandata, poiché potrebbe compromettere l'efficacia del trattamento e favorire la progressione dell'arteriosclerosi.
Ruolo del medico nell'aderenza del paziente:
• L'aderenza alla terapia dipende sia dall'educazione del paziente sia dalla chiara comunicazione del medico riguardo all'importanza del trattamento continuativo e dello stile di vita sano.
Ruolo persistente del metotrexate e delle terapie convenzionali:
• Nonostante l'avvento di nuove opzioni terapeutiche, il metotrexate rimane un farmaco di riferimento per l'artrite reumatoide, con evidenze di riduzione della mortalità e dei rischi cardiovascolari.
• La combinazione di terapie, come metotrexate e terapie biologiche, può offrire vantaggi aggiuntivi nel controllo della malattia e delle comorbidità.
Prospettive future e la Medicina di precisione
• La medicina di precisione potrebbe rivoluzionare la gestione dell'artrite reumatoide, consentendo la selezione di terapie specifiche basate sul profilo genetico e clinico del paziente.
• Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, l'implementazione della medicina di precisione potrebbe migliorare l'efficacia del trattamento e ridurre gli effetti collaterali.
Terapia con farmaci contro Linfociti
Garifallia Sakellariou
• Attualmente, una vasta gamma di trattamenti è disponibile per l'artrite reumatoide, spaziando dalle terapie tradizionali ai farmaci biologici. Tra questi, vi sono categorie farmacologiche che agiscono principalmente sui linfociti, come il rituximab, che mira al CD20 delle cellule CD20-positive, l'abatacept che influisce sul cross-talk e gli inibitori delle Janus chinasi (JAK) che hanno un effetto predominante su questa categoria cellulare. È noto che anche questi trattamenti possono influenzare il sistema cardiovascolare e il relativo rischio, il che può risultare positivo, sfavorevole o ancora sconosciuto in certe circostanze.
• I dati a sostegno della possibile superiorità di un farmaco nel ridurre il rischio cardiovascolare provengono da studi basati su ampie banche dati amministrative, prevalentemente statunitensi. In un'analisi condotta sulla popolazione del Medicare, comprendente pazienti anziani di età superiore ai 65 anni e affetti da artrite reumatoide, sono stati inclusi 47.000 individui, valutando l'incidenza di eventi cardiovascolari maggiori.
L'analisi delle curve di sopravvivenza evidenzia una mancanza significativa di disparità tra le diverse categorie di farmaci riguardo agli eventi cardiovascolari maggiori. Non emerge alcun farmaco come nettamente superiore, inferiore o differente dagli altri, anche dopo il confronto con l'abatacept. Si osserva solo un lieve favore del tocilizumab quando si considerano le classi farmacologiche e la categoria degli anti-TNF nel loro insieme.
• Nel 2020, una revisione sistematica e meta-analisi ha esaminato il rischio complessivo di eventi cardiovascolari maggiori tra i pazienti trattati con biologici anti-TNF rispetto a quelli trattati con biologici non anti-TNF, oltre al rischio di ictus in modo separato. In questo contesto, sia l'abatacept che il tocilizumab hanno mostrato risultati comparabili agli anti-TNF, con un rapporto di odds ratio per l'abatacept di 0,89, anche se non significativamente differente. Questo è stato confermato anche per il secondo esito, quello dell'ictus, con risultati piuttosto simili.
• Uno studio recente ha esaminato l'incidenza della sindrome coronarica acuta nei pazienti con artrite reumatoide che iniziavano un trattamento con bDMARD, confrontando l'etanercept con un gruppo di controllo di individui sani. Nonostante un'incidenza più alta di sindrome coronarica acuta nei pazienti con AR rispetto alla popolazione generale, non sono state riscontrate differenze significative nell'efficacia preventiva tra le diverse molecole bDMARD nel corso di uno, due e cinque anni di trattamento.
Questi risultati potrebbero essere influenzati dall'inclusione di pazienti più gravi nei trattamenti con infliximab e rituximab.
• In merito ad abatacept, emerge un interesse particolare poiché potrebbe essere considerato un'opzione terapeutica di valore per determinati sottogruppi di pazienti.
Un'analisi basata su due banche dati amministrative, ha esaminato i pazienti con artrite reumatoide che iniziavano il trattamento con abatacept o inibitori del TNF, sia con che senza malattia cardiovascolare progressiva.
Utilizzando un propensity score complesso che includeva 60 covariate per adeguare i gruppi, si è osservato un outcome composito di infarto miocardico, ictus o rivascolarizzazione coronarica. Ne emerge che, nella popolazione generale, abatacept sembra ridurre il rischio rispetto ad adalimumab, con un hazard ratio significativo di 0,79. Tuttavia, tale significatività si basa principalmente sui soggetti che presentano un evento progressivo in questa categoria. Sebbene la significatività persista nei due sottogruppi distinti, si perde quando non si verificano eventi progressivi. Inoltre, analizzando il tipo di evento che i pazienti possono sperimentare, emerge che il vantaggio di abatacept sembra essere principalmente associato a un minor rischio di infarto miocardico.
• I pazienti trattati con abatacept o anti-TNF sono stati suddivisi in gruppi diabetici e non diabetici per valutarne il rischio di eventi cardiovascolari.
Sebbene l'hazard ratio complessivo si aggiri intorno a 0,8, risultando non significativo, si osserva un possibile beneficio del trattamento con abatacept nei pazienti diabetici, ma non nei non diabetici.
L'analisi dei dati mostra che, sebbene l'outcome composito sia significativo, le singole componenti non lo sono, probabilmente a causa delle dimensioni ridotte dei sottogruppi.
Si ipotizza che l'effetto favorevole di Abatacept possa essere dovuto a una sua azione diretta contro l'aterosclerosi o a un effetto mediato dalle comorbidità. Uno studio su circa 200 pazienti ha mostrato una tendenza verso una riduzione dello score di placche nei pazienti trattati con abatacept rispetto al trattamento con DMARD sintetico tradizionale, suggerendo un possibile vantaggio del primo farmaco.
• Da uno studio in cui sono stati esaminati i pazienti che hanno iniziato il trattamento con abatacept rispetto ad adalimumab e Infliximab per valutare lo sviluppo di nuove diagnosi di diabete, si è osservato che il rischio di sviluppare diabete è significativamente più alto con adalimumab e infliximab rispetto ad abatacept, mentre per etanercept il rischio non è risultato significativo e per gli altri farmaci le dimensioni ridotte del campione non hanno permesso di giungere a conclusioni definitive.
Questo risultato è stato confermato anche da uno studio su circa 14.000 pazienti con artrite reumatoide, evidenziando che chi assumeva abatacept presentava un rischio inferiore di sviluppare diabete rispetto a chi assumeva metotrexate.
• Inoltre, l'idrossiclorochina ha mostrato una modulazione del rischio di sviluppo di diabete. Per quanto riguarda l'assetto lipidico, uno studio ha suggerito un possibile effetto positivo di abatacept a 12 mesi, con una significativa riduzione dei valori di LDL, mentre gli altri parametri lipidici non sono stati influenzati in modo significativo.
Tuttavia, le evidenze riguardo a un effetto diretto sulla disfunzione vascolare sono limitate e inconcludenti, con risultati contrastanti e dati insufficienti per determinare il profilo del farmaco in questo contesto.
Oltre ad abatacept, esistono anche dati sui possibili meccanismi di Rituximab nel mediare alcuni elementi che possono influenzare il rischio cardiovascolare.
• In un altro studio su 49 pazienti trattati con rituximab, si è valutata la composizione funzionale delle HDL a sei mesi. Si è osservato che l'indice aterogenico si riduce significativamente del 9% a sei mesi in tutti i pazienti trattati, ma con una differenza tra i responder e i non responder al trattamento. Evidenze simili sono emerse anche da altri studi su piccoli campioni di pazienti trattati con rituximab, che hanno mostrato miglioramenti inconsistente ma promettenti dei parametri di disfunzione vascolare.
• JAK inibitori: lo studio Oral Surveillance, richiesto dalla FDA, che ha esaminato tofacitinib in una popolazione con fattori di rischio cardiovascolare. I bracci di trattamento includevano tofacitinib in combinazione con metotrexate o da solo, confrontati con adalimumab o etanercept. Lo studio ha avuto un endpoint composito con due endpoint coprimari: eventi cardiovascolari e neoplasie escluse il carcinoma della pelle non melanoma.
Dopo tre anni e numerosi eventi, è emerso un aumento del rischio cardiovascolare e neoplastico con tofacitinib rispetto ad adalimumab.
È importante notare che lo studio è di non inferiorità. Sebbene il rischio relativo di eventi cardiovascolari sia del 30% superiore con tofacitinib rispetto ad adalimumab, l'intervallo di confidenza suggerirebbe l'assenza di significatività. Tuttavia, il limite superiore dell'intervallo di confidenza per il rischio neoplastico supera la soglia di non inferiorità. Questi risultati hanno portato a un warning da parte di EMA e AIFA riguardo a tofacitinib e alla classe dei JAK inibitori, consigliando prudenza nell'uso in pazienti anziani, fumatori o con fattori di rischio cardiovascolare o neoplasie.
• Un'analisi secondaria dello studio Oral Surveillance ha evidenziato un maggiore rischio correlato all'età superiore ai 65 anni e allo stato di fumatore o ex fumatore. Questo rischio aumentato è stato osservato soprattutto nei pazienti più anziani e fumatori, con un effetto ulteriormente accentuato quando entrambe le caratteristiche sono presenti.
La mortalità, gli eventi cardiovascolari maggiori e il rischio neoplastico sembrano essere maggiormente incrementati nei fumatori o ex fumatori e nei pazienti di età superiore ai 65 anni.
• In uno studio su 13.500 pazienti svedesi che hanno iniziato JAK inibitori biologici, non sono emersi segnali di aumento del rischio cardiovascolare nel corso di sei anni di follow-up.
Una meta-analisi ha confrontato i JAK inibitori con altre classi di farmaci, posizionandoli in basso a sinistra del grafico, indicando un rischio più elevato di morte ed eventi cardiovascolari.
Tuttavia, tofacitinib rimane l'unica eccezione, mentre gli altri farmaci biologici si comportano in modo simile agli altri.
Questo suggerisce la necessità di esaminare le specifiche caratteristiche di ciascun farmaco all'interno della categoria dei JAK inibitori per comprendere eventuali differenze nel profilo di rischio.
In conclusione:
I farmaci non anti-TNF, come abatacept e rituximab, tendono a ridurre il rischio cardiovascolare. o Abatacept potrebbe avere un effetto favorevole tramite la modulazione delle comorbidità, specialmente in sottopopolazioni che maggiormente presentano comorbidità.
Attualmente non c'è un'evidenza definitiva sull'entità del rischio cardiovascolare con i JAK inibitori. Saranno necessarie analisi a lungo termine per valutare appieno questo potenziale eccesso di rischio.
Una strategia sensata potrebbe essere identificare i sottogruppi a rischio maggiore per stratificare la popolazione candidabile ai diversi trattamenti.
Discussione conclusiva
• Efficacia differenziata dei jack inibitori: la network meta-analisi dimostra che i vari jack inibitori non hanno lo stesso effetto sul rischio cardiovascolare, suggerendo la necessità di considerare le differenze di efficacia tra di essi.
• Ipotesi sul meccanismo di azione: si ipotizza che le differenze nell'inibizione del sistema della coagulazione possano essere alla base delle variazioni di rischio cardiovascolare tra i diversi jack inibitori.
• Valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti sotto i 65 anni: utilizzare il rischio di eventi cardiovascolari a 10 anni come criterio per valutare l'idoneità dei trattamenti, personalizzando le decisioni in base alle caratteristiche del singolo paziente.
• In caso di insufficienza renale lieve: è possibile seguire un approccio simile a quello standard. Tuttavia, è importante prestare particolare attenzione ai FANS, poiché i pazienti tendono al “fai da te” con questi farmaci da banco. L'educazione sui corretti utilizzi dei FANS è fondamentale, poiché possono comportare rischi, soprattutto per chi ha problemi renali. Per quanto riguarda i farmaci sintetici come il metotrexate, il dosaggio deve essere adattato in base alla funzione renale, con un limite critico di filtrazione glomerulare al di sotto del quale il farmaco non può essere somministrato. Fortunatamente, oggi non abbiamo molti farmaci estremamente nefrotossici, ad eccezione della ciclosporina, che viene utilizzata raramente.
• Multidisciplinarietà nel trattamento: essenziale la collaborazione tra specialisti, compresi nefrologi e oncologi, nella gestione dei pazienti con comorbilità, evidenziando la necessità di un approccio integrato per ottimizzare i risultati terapeutici. Un approccio multidisciplinare anche per garantire una cura completa e personalizzata.
• Impatto dell'obesità e del fumo sulla risposta al trattamento: fattori che possono influenzare la risposta al trattamento dell'artrite reumatoide, suggerendo di considerare tali fattori nella scelta terapeutica.
• Utilizzo di farmaci in pazienti oncologici: la presenza di vincoli prudenziali nelle schede tecniche dei farmaci è comune, e spesso si consiglia di evitare l'uso del farmaco in pazienti con una storia recente di neoplasia, solitamente entro i cinque anni.
Tuttavia, queste restrizioni non sempre sono supportate da evidenze scientifiche. Al contrario, alcuni trattamenti come gli anti-TNF possono persino ridurre il rischio di neoplasie e migliorare il loro controllo.
Quando ci si trova di fronte a pazienti con una storia recente di tumore che necessitano di terapie biologiche, è fondamentale condurre un colloquio approfondito e trasparente.
Durante questo dialogo, sia il medico che il paziente possono valutare insieme i rischi e i benefici del trattamento, prendendo in considerazione il contesto individuale e le necessità specifiche del paziente.
• Ruolo cruciale dell'educazione del paziente riguardo all'automedicazione e agli stili di vita salutari, come parte integrante della gestione terapeutica.
• Considerazioni sull'età e sulla storia clinica del paziente: si sottolinea l'importanza di valutare l'età e la storia clinica del paziente nella scelta terapeutica, personalizzando il trattamento in base alle singole caratteristiche.
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