Giovanni Falcicchio

Policlinico di Bari, Ospedale Giovanni XXIII Bari

DOI: 10.36160/03112020.13

Articoli 31 maggio 2022

Crisi sintomatiche acute ed epilessie autoimmuni

Giovanni Falcicchio

Policlinico di Bari, Ospedale Giovanni XXIII Bari

DOI: 10.36160/03112020.13

Highlights
Crisi sintomatica acuta secondaria ad encefalite autoimmune: crisi epilettica (o più crisi epilettiche) che si verifica nella fase attiva del processo infiammatorio cerebrale, dimostrata con indagini di laboratorio e strumentali, che può ripetersi oltre 7 giorni e per settimane o addirittura mesi, sino a risoluzione del processo infiammatorio centrale.
Epilessia autoimmune: condizione caratterizzata dalla ricorrenza di crisi epilettiche che si verificano tempo dopo la risoluzione del quadro infiammatorio del SNC, per una tendenza cerebrale forte e duratura ad avere ulteriori crisi sviluppata dal paziente.

Una crisi sintomatica acuta (o crisi provocata) viene definita tale quando si verifica in stretta correlazione temporale con un insulto cerebrale acuto, il quale può essere di origine metabolica, tossica, strutturale, infettiva o infiammatoria.1 In tutti questi casi, la crisi può essere considerata sintomo/segno di una condizione patologica che coinvolge in maniera primaria o secondaria il sistema nervoso centrale (SNC).2

L’Epilessia è una delle più frequenti patologie neurologiche croniche e, in accordo con i criteri diagnostici della International League Against Epilepsy (ILAE) del 2014,3 è caratterizzata da crisi epilettiche non provocate ricorrenti per una forte e duratura predisposizione cerebrale a presentare ulteriori crisi. A differenza delle crisi epilettiche non provocate, che caratterizzano il quadro della patologia Epilessia, le crisi sintomatiche acute solitamente non si ripresentano una volta che la condizione scatenante si è risolta e si è riottenuta, così, l’integrità funzionale del SNC.4 Tuttavia, non è da escludere che un individuo che abbia sperimentato delle crisi sintomatiche acute in passato possa ripresentarle nuovamente, in caso di ricorrenza della causa scatenante.5 Si pensi, per esempio, ad una persona che sperimenti delle crisi epilettiche in corso di ipoglicemia in tempi differenti e distanti fra loro, senza che, però, questo presupponga una diagnosi di epilessia. In linea generale, le crisi sintomatiche acute rappresentano fino al 40% di tutte le crisi epilettiche,6 presentandosi con una probabilità quasi doppia nel sesso maschile, rispetto a quello femminile,7 soprattutto nelle due fasce estreme di età, con un primo picco di incidenza durante il primo anno di vita ed un secondo oltre gli 80 anni.7 Questa distribuzione bimodale sembra riflettere l’incidenza di determinate condizioni ezio-patologiche nelle due suddette fasce d’età, quali encefalopatie e patologie metaboliche ed infettive in età infantile, eventi cerebrovascolari nell’anziano.8
Nella Tabella 1, sono mostrate le principali cause di crisi sintomatiche acute e la loro prevalenza.7
Tabella 1. Cause principali di crisi sintomatiche acute (adattato da Acute symptomatic seizures: an educational, evidence-based review, Epileptic Disord 2022).4

Riguardo all’intervallo di tempo necessario perché una crisi epilettica possa essere considerata sintomatica acuta, questo è stato convenzionalmente stabilito dalla ILAE, a seconda della natura dell’insulto cerebrale e tenendo conto del verosimile tempo necessario, poiché la condizione patologica scatenante si risolva:8

  1. Entro 1 settimana, per eventi cerebrovascolari, traumi cranici (inclusi gli interventi di neurochirurgia) ed encefalopatia anossica;
  2. Oltre a 1 settimana, in caso di patologia cerebrale infettiva o infiammatoria del SNC in stato attivo, dimostrato dal quadro clinico, radiologico e laboratoristico, sino a risoluzione del quadro clinico-strumentale;
  3. Entro 24 ore, in severi disturbi elettrolitici (iposodiemia, ipoglicemia, etc...), considerando che quanto più rapida è l’alterazione metabolica, tanto più probabile è la ricorrenza di crisi sintomatica acuta;9
  4. Entro 7-48 ore dall’ultima assunzione di alcol, in caso di astinenza da alcol.

Si ritiene che quanto più rapidamente venga identificata la causa sottostante delle crisi sintomatiche acute, tanto più efficace risulterà il loro trattamento, che consiste nella correzione/eliminazione della causa stessa.8 Attraverso un'adeguata raccolta anamnestica e l’esecuzione di determinati esami strumentali e/o laboratoristici (esami ematochimici, elettroencefalogramma, TC cranio/RM encefalo, puntura lombare), è possibile confermare il sospetto che la crisi presentata dal paziente sia sintomatica acuta ed avviare quanto prima il trattamento causale (per esempio trombolisi/trombectomia nell’ictus ischemico cerebrale, terapia antivirale endovenosa nella encefalite virale, etc...).4 Dibattuto è, invece, se, quando e per quanto tempo impostare un trattamento con farmaci anticrisi in caso di crisi sintomatiche acute. Se consideriamo le crisi non provocate, è stato dimostrato che fino a 5 anni dopo una crisi non provocata, il rischio di presentarne una nuova si aggira intorno al 40-50%,10 aumentando proporzionalmente con il numero di crisi non provocate presentate.11 Fattori che predispongono maggiormente alla ricorrenza di crisi non provocate sono una causa sintomatica remota, anomalie epilettiformi all’elettroencefalogramma, alterazioni strutturali in RM encefalo, crisi morfeiche.12 Se consideriamo, invece, le crisi sintomatiche acute, il rischio di ricorrenza di una manifestazione critica di tipo epilettico, rappresentata da una crisi non provocata, atteso, è relativamente basso. Mettendo a paragone pazienti che sperimentano una crisi sintomatica acuta e pazienti che abbiano presentato una crisi non provocata, il rischio di sviluppare una seconda crisi epilettica non provocata è minore nel primo caso (18.7% versus 64.8% su un follow-up di 10 anni circa).13 Questo dato è da considerare con cautela, poiché il rischio di ricorrenza è certamente sostanziale ed influenzato dall’eziologia sottostante la crisi; si consideri che il rischio di ricorrenza di una crisi sintomatica remota dopo una crisi sintomatica acuta nello stroke arriva sino al 33%, nel trauma cranico sino al 13.4%, nelle infezioni del SNC sino al 16.6%.12 Il ripetersi di crisi sintomatiche acute nell’ambito dell’insulto cerebrale che ne ha provocato l’insorgenza rappresenta una condizione pericolosa per il paziente, poiché diversi studi hanno dimostrato una maggiore mortalità a breve termine associata alle crisi sintomatiche acute (sino a 8-9 volte nei 30 giorni successivi all’evento acuto), se paragonate con le crisi non provocate.13 Il rischio di mortalità diventa particolarmente elevato, in caso di stato epilettico (SE) sintomatico acuto, rispetto allo SE non provocato (34% versus 5%).14 Come già detto in precedenza, nell’adulto, diverse sono le cause di crisi sintomatiche acute ed ognuna ha un diverso rischio di presentarle. (Tabella 2)4 Tabella 2. Rischio di sviluppare una crisi sintomatica acuta a seconda della causa scatenante (adattato da Acute symptomatic seizures: an educational, evidence-based review, Epileptic Disord 2022).4

Come si evince dalla Tabella 2, vi è un rischio molto elevato di presentare una crisi sintomatica acuta nel contesto di un processo infiammatorio cerebrale di eziologia autoimmune.
Le encefaliti autoimmuni (EA) sono un gruppo eterogeneo di disordini infiammatori e non infettivi a livello cerebrale, in cui un auto-anticorpo diretto verso antigeni neuronali può essere identificato.15 Questa condizione patologica interessa circa 1.2/100.000 individui all’anno.16 Le crisi epilettiche, che si verificano nel contesto di una encefalite autoimmune, ricorrendo in relazione ad un evento lesivo acuto cerebrale, sono crisi sintomatiche acute, ma hanno caratteristiche temporali di comparsa e di identificazione diverse dalle crisi sintomatiche acute legate ad altre eziologie. Dopo una lesione cerebrale legata a ictus o trauma cranico, le crisi epilettiche sono considerate sintomatiche acute, se insorgono entro i primi 7 giorni della lesione acuta.1 La definizione temporale, nel caso delle crisi epilettiche sintomatiche acute legate ad encefalite autoimmune, pone delle sfide, legate all’inizio, spesso, incerto della patologia e al fatto che le crisi possono essere presenti per settimane o mesi prima della diagnosi e del successo del trattamento. Infatti, la definizione ILAE di “crisi sintomatiche acute” non prevede parametri temporali specifici per l’uso del termine, ma solo il requisito che le crisi si verifichino in prossimità con una “fase attiva” del processo infiammatorio cerebrale, dimostrata con metodiche di laboratorio (positività dell’auto-anticorpo su siero e/o liquor) e strumentali (segni di infiammazione cerebrale al neuroimaging). Nel contesto delle encefaliti autoimmuni, è possibile identificare due principali gruppi sulla base degli auto-anticorpi e degli antigeni coinvolti:15

1. Gruppo 1: sindromi paraneoplastiche, in cui l’auto-anticorpo è diretto contro antigeni intracellulari, vi è una forte associazione con una neoplasia e la prognosi è infausta. Un esempio è rappresentato dagli anticorpi anti-Hu che possono associarsi al microcitoma polmonare, dando per esempio un quadro di cerebellite;17

2. Gruppo 2: encefaliti mediate da auto-anticorpi diretti contro antigeni di superficie, in cui può esserci o meno associazione con una neoplasia e la prognosi risulta migliore rispetto al gruppo 1.

Nelle encefaliti appartenenti al gruppo 2, le crisi epilettiche possono rappresentare la manifestazione clinica iniziale o prevalente, talora l’unica.18 I più frequenti antigeni associati a crisi epilettiche sono il recettore N-metil-D-aspartato (NMDAr), quello gamma-amino-butirrico A e B (GABAr) e quello LGI1.4 In linea generale, queste forme di encefalite autoimmune anticorpo-mediate rispondono molto bene alla terapia immunologica, quale terapia cortisonica endovenosa o le immunoglobuline (5 g/Kg/die)18 e le crisi tendono a scomparire una volta che il processo infiammatorio cerebrale si è risolto.4

Nel 2017, l’ILAE ha introdotto nella classificazione delle epilessie il concetto di “epilessia di origine autoimmunitaria”,19 includendo, in questo sottogruppo, tutti i disordini autoimmuni in cui le crisi epilettiche siano un sintomo cardine della patologia. Nello specifico, gli autori fanno riferimento alle encefaliti mediate dagli anticorpi anti-NMDAr ed anti-LGI1. Con l’introduzione di tale entità nosologica, non poca è stata la confusione nell’ambito dei pazienti con crisi epilettiche associate ad un processo encefalitico cerebrale, perché, da un lato, alcuni pazienti presentavano crisi per lunghi periodi di tempo in corso di attività del processo infiammatorio del SNC, con risoluzione del quadro elettro-clinico e strumentale dopo immunoterapia ed assenza di crisi anche anni dopo; dall’altro, alcuni pazienti continuavano a presentare crisi, nonostante l’encefalite fosse stata trattata e risolta, necessitando trattamento anticrisi/immunoterapico cronico. Nel primo caso, dunque, si può parlare di crisi sintomatiche acute secondarie ad encefalite autoimmune; nel secondo, invece, il paziente ha continuato a presentare manifestazioni critiche di natura epilettica, anche in seguito alla risoluzione del quadro patologico cerebrale, ed ha sviluppato una tendenza forte e duratura ad avere ulteriori crisi; pertanto, sarebbe opportuno parlare in quest’ultimo caso di epilessia di origine autoimmunitaria.20 Il secondo scenario si verifica con particolari auto-anticorpi, come quelli diretti contro la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD) o contro le proteine onconeurali (Hu, Ma2,...) e nell’encefalite di Rasmussen.20 L’eziologia autoimmune si può associare a quella strutturale, la quale può essere diretta conseguenza del processo infiammatorio cerebrale stesso. Basti considerare l’encefalite di Rasmussen, in cui una perdita cellulare associata a gliosi multifocale può essere identificata. Certamente la presenza di un'alterazione strutturale concomitante all’encefalite aumenta il rischio di predisposizione alle crisi, guidando il clinico verso la diagnosi di epilessia autoimmune.20

Non è da escludere che anche le crisi sintomatiche acute secondarie ad una encefalite autoimmune possano recidivare come tali, cioè “sintomatiche acute”. È stato stimato che il tasso di relapse delle encefaliti autoimmuni è compreso tra il 15% ed il 35%, variando in base all’auto-anticorpo considerato.20 In questo caso, spetta al clinico giudicare la ricorrenza critica come potenzialmente reversibile (per esempio, per riattivazione del processo infiammatorio cerebrale) e, quindi, considerarla non come epilessia, ma come “ricorrenza di crisi sintomatiche acute secondarie ad encefalite autoimmune”.
Steriade e coll20 hanno stilato una lista di caratteristiche cliniche e semeiologiche che possono aiutare nella corretta diagnosi delle crisi sintomatiche acute secondarie ad encefalite autoimmune; eccone alcune elencate di seguito:

  • scarsa risposta al trattamento con farmaci anticrisi;
  • variabile semeiologia, alta frequenza, breve durata, con semeiologia perisilviana (per esempio, clonie faciali) e tendenza all'evoluzione tonico-clonica bilaterale;
  • negatività nella storia personale del paziente di convulsioni febbrili o familiarità per epilessia;
  • lo SE può essere manifestazione iniziale del processo patologico (in particolare, nelle GABA-associate);
  • associazione con disfunzione cognitiva e turbe comportamentali, con comparsa di turbe mnesiche, psicosi, alterazioni del tono dell’umore.

Sebbene le indagini neuroradiologiche possano essere negative, diversi quadri suggestivi di encefalite autoimmune possono essere identificati, quali l’iperintensità in FLAR a livello temporo-mesiale bilaterale (encefalite limbica) o a livello multifocale.20 L’esame liquorale supporta il sospetto diagnostico, con la possibile presenza di pleiocitosi linfocitaria, aumento della quota di proteine liquorali ed il riscontro delle bande oligoclonali.21 L’elettroencefalogramma può risultare nella norma o presentare anomalie epilettiformi, in genere non specifiche dell’encefalite autoimmune.20
L’immunoterapia è il trattamento più efficace nelle crisi secondarie ad encefalite autoimmune ed avviarla quanto più precocemente possibile migliorerebbe o addirittura preverrebbe la ricorrenza critica e la disfunzione cognitiva.22
I farmaci anticrisi possono essere di supporto all'immunoterapia, ma da soli non sono sufficienti per il trattamento delle crisi secondarie ad encefalite autoimmune, che sono generalmente farmacoresistenti.22

Concludendo, il concetto che qualsiasi disordine cerebrale, in cui alle crisi epilettiche si associa la positività di un auto-anticorpo, è da considerarsi epilessia di origine autoimmunitaria, non sarebbe corretto. Sicuramente, non ci si può esprimere sulla diagnosi, fin quando la fase acuta del processo infiammatorio cerebrale non è trascorsa e, come già detto, questa può durare anche mesi. Il paziente dovrebbe, poi, essere sottoposto a un follow-up (la cui durata non è stata univocamente definita), per valutare l’eventuale recrudescenza critica e prendere delle opportune decisioni terapeutiche.13 Nella Tabella 3, sono riportati gli antigeni neuronali principali verso cui sono diretti gli auto-anticorpi ed il rischio di sviluppare epilessia ad essi associato.18
Tabella 3. Rischio di epilessia antigene-correlato.

Qui di seguito, sono riportati due possibili scenari che possono verificarsi nella pratica clinica di tutti i giorni.

Scenario 1: un paziente con pregresse crisi sintomatiche acute in corso di encefalite autoimmune torna dopo 1 anno al follow-up. Il processo encefalitico era risolto da un punto di vista clinico (non più crisi) e laboratoristico (negativizzazione auto-anticorpi) e strumentale (negativizzazione neuroimaging). Il paziente sta assumendo terapia anticrisi, in assenza di crisi da allora. Si può parlare di crisi sintomatiche acute in corso di encefalite autoimmune. È opportuno continuare il trattamento anticrisi? È sufficiente un anno di follow-up per ridurre/sospendere tale trattamento?

Scenario 2: un paziente con pregresso seminoma testicolare, trattato chirurgicamente, sviluppa, qualche mese dopo, inizialmente, crisi focali con compromissione della consapevolezza e, successivamente, episodi morfeici tonico-clonico generalizzati. Sottoposto ad indagini laboratoristiche, auto-anticorpi anti MA2 nel siero vengono identificati. La RM encefalo è negativa per processi infiammatori in atto a livello del SNC. Nonostante l’avvio di terapia anticrisi e della immunoterapia con Ig vena, in occasione del follow-up a 12 mesi, il paziente continua a presentare crisi focali con compromissione della consapevolezza e frequenza mensile circa, mostrando inoltre persistenza di auto-anticorpi anti MA2 nel siero. Si potrebbe fare una diagnosi di epilessia autoimmune? Potrebbe essere utile avviare nuovo ciclo di immunoterapia?

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