Nei Paesi industrializzati, la maculopatia rappresenta la principale causa di ipovisione nei soggetti di età superiore ai 50 anni e la terza causa di cecità a livello globale. Si stima che circa il 5% delle cecità mondiali siano attribuibili a tale patologia, con una prevalenza che supera il 40% nei Paesi industrializzati. L’incidenza della maculopatia aumenta progressivamente con l’età e tende a manifestarsi in forma bilaterale nella quasi totalità dei casi. Nella gestione del paziente anziano affetto da maculopatia, il Medico di Medicina Generale (MMG) riveste un ruolo cruciale, sia nell’ambito della prevenzione e dello screening, sia nel monitoraggio clinico, in particolare nei pazienti affetti da comorbidità quali diabete mellito, ipertensione arteriosa e pregressa esposizione al fumo.
Inquadramento della maculopatia
Con il termine maculopatia si indica un’alterazione patologica a carico della macula, la porzione centrale della retina deputata alla visione distinta, essenziale per funzioni visive quali la lettura, il riconoscimento dei volti e lo svolgimento delle attività quotidiane. Nel linguaggio clinico, il termine si riferisce prevalentemente alla degenerazione maculare legata all’età (AMD, age-related macular degeneration), nota anche come maculopatia senile, che rappresenta circa il 30-35% dei casi. La seconda causa più comune è la maculopatia diabetica. Altre forme includono la maculopatia miopica, quella di origine genetica, la maculopatia pachicoroide e quella insorta in seguito a interventi chirurgici oculari.
La degenerazione maculare senile costituisce la prima causa di cecità legale nei Paesi industrializzati. Per cecità legale si intende una condizione in cui l’acuità visiva è significativamente ridotta, pur non comportando una completa perdita della percezione visiva. Si tratta dunque di una condizione che, pur non determinando cecità totale, compromette gravemente l’autonomia del soggetto. L’AMD colpisce prevalentemente soggetti nella fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni, con una prevalenza iniziale intorno all’1%; tale valore aumenta significativamente con l’avanzare dell’età, raggiungendo oltre il 30% nei soggetti con più di 85 anni. La patologia mostra una distribuzione etnica non omogenea: la popolazione caucasica è la più colpita, seguita da quella asiatica, mentre l’incidenza risulta sensibilmente inferiore nelle popolazioni afroamericane.
L’AMD è una patologia a decorso cronico e progressivo. Nelle fasi iniziali e intermedie – le più comuni – si osserva la presenza di depositi giallastri sotto la retina, denominati drusen, generalmente asintomatici. In questa fase, la diagnosi è possibile esclusivamente tramite esame del fondo oculare eseguito dallo specialista. Risulta pertanto raccomandabile indirizzare i pazienti di età superiore ai 50 anni a visite oculistiche periodiche, con finalità di diagnosi precoce e sensibilizzazione. Le forme avanzate si distinguono in forma umida (essudativa) e forma secca (atrofica).
La forma umida è caratterizzata dalla crescita patologica di neovasi sottoretinici, che tentano di compensare il danno cronico tissutale. Si tratta di una forma a rapida evoluzione, con possibile compromissione severa della visione centrale nell’arco di pochi mesi; tuttavia, un trattamento tempestivo può risultare efficace.
La forma secca è determinata dalla degenerazione e morte progressiva dei fotorecettori, le cellule deputate alla trasduzione visiva. L’evoluzione è più lenta, ma ad oggi non sono disponibili terapie risolutive per questa forma. Il sintomo cardine della maculopatia è rappresentato dalla metamorfopsia, ossia la distorsione delle immagini percepite. Nelle fasi più avanzate compare uno scotoma centrale, che comporta una severa riduzione della visione centrale.
Un’importante innovazione terapeutica è stata introdotta verso la fine degli anni 2000 con la disponibilità dei farmaci anti-VEGF (vascular endothelial growth factor inhibitors), che hanno significativamente modificato la prognosi della forma umida. Più recentemente, sono state sviluppate molecole di seconda generazione, caratterizzate da maggiore efficacia e durata d’azione.
La gestione del paziente anziano con maculopatia
Qual è il paziente tipo che si reca nell'ambulatorio del MMG?
Due sono i profili di paziente maggiormente ricorrenti nella pratica ambulatoriale del MMG:
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Il primo è rappresentato da un paziente intorno ai 70 anni, che riferisce disturbi visivi aspecifici e di recente insorgenza. In tale contesto, il compito del MMG consiste nell’identificare tempestivamente i segni suggestivi di maculopatia, promuovere una diagnosi precoce e predisporre un invio rapido allo specialista oftalmologo, al fine di avviare tempestivamente il percorso terapeutico.
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Il secondo profilo corrisponde a un paziente più anziano, generalmente oltre gli 80 anni, spesso affetto da patologie croniche concomitanti (es. diabete, ipertensione, pregresso tabagismo), già in carico allo specialista e inserito in un protocollo terapeutico. In questo caso, il MMG assume una funzione essenziale nel supportare il paziente nella continuità assistenziale, intercettando eventuali segnali di demotivazione, delusione per l’apparente inefficacia della terapia o insorgenza di sindromi depressive reattive. Queste ultime, se non riconosciute e trattate, possono evolvere in forme di isolamento sociale e accelerare il declino cognitivo.
In entrambe le tipologie cliniche, l’intervento proattivo del MMG è determinante per garantire una presa in carico globale e per favorire un approccio multidimensionale alla cronicità visiva nell’anziano.
Come reagiscono i pazienti quando si ipotizza questa diagnosi?
Per quanto riguarda la reazione dei pazienti all’ipotesi diagnostica di maculopatia, nella maggior parte dei casi si osserva una scarsa familiarità con la patologia.
La diagnosi è frequentemente associata a sentimenti di forte preoccupazione e timore per il futuro, con il vissuto di una possibile condanna all’isolamento sociale e a una significativa compromissione dell’autonomia nella vita quotidiana.
Qual è il ruolo dell’MMG nel paziente anziano con maculopatia?
In Italia si stima la presenza di circa un milione di pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età (AMD, Age-related Macular Degeneration), di cui circa il 10% presenta la forma umida ed essudativa, notoriamente più aggressiva e invalidante. La maggior parte dei casi è rappresentata dalla forma secca, a progressione più lenta, ma comunque responsabile di un impatto rilevante sulla qualità della vita.
Le proiezioni epidemiologiche indicano un possibile raddoppio dei casi entro il 2040.
La maculopatia senile determina una significativa compromissione dell’autonomia individuale, con aumento del rischio di cadute e fratture, e un impatto negativo sulla sfera psico-sociale, spesso associato a isolamento, sindromi depressive, comorbidità psichiatriche e decadimento cognitivo. In tale contesto, il MMG rappresenta il primo punto di riferimento per il paziente e svolge un ruolo centrale nel coordinamento del percorso diagnostico-terapeutico. Una delle sue principali funzioni è la prevenzione primaria e secondaria, mediante l’identificazione precoce dei soggetti a rischio, agevolata dalla conoscenza approfondita della storia clinica, familiare e sociale del paziente.
È fondamentale che tali soggetti vengano sottoposti a un attento screening visivo, con particolare attenzione a sintomi indicativi di alterazioni maculari: visione centrale offuscata, metamorfopsie (distorsione delle linee rette, specie nel campo visivo centrale), difficoltà nella lettura, nel riconoscimento dei volti, nell’adattamento ai cambiamenti di luminosità e nella visione notturna.
Altrettanto rilevante è il ruolo del MMG nell’educazione e sensibilizzazione del paziente, sia in merito alla conoscenza della patologia sia rispetto alle strategie di prevenzione. In tale ambito rientrano la promozione di stili di vita sani, l’abolizione del fumo di sigaretta, il controllo dei fattori di rischio cardiovascolari e delle comorbidità, quali ipertensione arteriosa e diabete mellito, oltre alla sensibilizzazione sull’importanza dei controlli oculistici periodici, in particolare dopo i 60 anni di età.
Un’attenzione specifica deve essere inoltre rivolta all’alimentazione: un corretto counseling nutrizionale può concorrere alla riduzione del rischio cardiovascolare e metabolico, contribuendo al tempo stesso a preservare la salute maculare attraverso un’adeguata protezione dallo stress ossidativo e dalla progressione della patologia
Nella pratica clinica quotidiana, il MMG ha altresì il compito di fornire indicazioni pratiche per la sicurezza domestica del paziente ipovedente, come la rimozione di tappeti o ostacoli, l’uso di luci notturne e calzature adeguate a prevenire cadute accidentali.
Infine, risulta essenziale una periodica rivalutazione della terapia farmacologica in corso, considerando che i pazienti anziani possono arrivare ad assumere fino a 9-10 principi attivi al giorno. Il MMG ricopre inoltre un ruolo fondamentale nel supporto psicologico, aiutando il paziente ad affrontare l’impatto emotivo della perdita visiva e della conseguente riduzione dell’autonomia, condizioni frequentemente associate a depressione, soprattutto nei soggetti anziani che vivono in solitudine.
Quando il paziente arriva allo specialista: cosa succede?
Una volta che il paziente è stato inquadrato dal MMG o dall’oculista territoriale, in presenza di un sospetto coinvolgimento maculare, viene indirizzato a centri specialistici dedicati alle patologie retiniche per l’avvio del trattamento. In questa fase iniziale risulta fondamentale un accurato inquadramento diagnostico, finalizzato alla definizione del tipo specifico di maculopatia. Considerata la natura cronica della patologia, il trattamento si sviluppa tipicamente nel corso di un lungo arco temporale. Una seconda tipologia di paziente è rappresentata da coloro che, avendo già intrapreso un percorso diagnostico o terapeutico con i colleghi del territorio, si rivolgono ai centri specialistici per ottenere una seconda opinione.
Cosa può fare lo specialista per questo paziente?
L’obiettivo principale dell’intervento terapeutico è la stabilizzazione della patologia. Nelle fasi iniziali del trattamento è possibile ottenere un parziale recupero funzionale, con un miglioramento anche minimo dell’acuità visiva (espresso in termini di lettere o linee guadagnate nei test visivi standardizzati). Tuttavia, il traguardo più rilevante è rappresentato dal mantenimento di una capacità visiva sufficiente a garantire la prosecuzione delle attività quotidiane del paziente, quali la lettura (eventualmente con l’ausilio di dispositivi ottici), la guida e, più in generale, il mantenimento di un’autonomia personale e sociale quanto più possibile preservata.
Esiste una percentuale di perdita di questi pazienti?
I dati disponibili in letteratura indicano che, a cinque anni dall’inizio del trattamento, circa il 50% dei pazienti affetti da maculopatia non risulta più aderente al percorso di cura. Tale dato evidenzia una perdita significativa di pazienti dal follow-up specialistico, con conseguente rischio elevato di progressione della patologia fino alla cecità legale. Quest’ultima condizione comporta la perdita della funzione visiva centrale, compromettendo gravemente la capacità di svolgere le attività quotidiane e l’autonomia del soggetto. In questo scenario, il ruolo del MMG risulta fondamentale nel garantire la continuità assistenziale e nel promuovere l’aderenza terapeutica. È compito del MMG fornire al paziente una visione chiara e condivisa del percorso di diagnosi, cura e trattamento, in sinergia con lo specialista, stimolando una partecipazione attiva del paziente stesso. Mantenere elevati i livelli di consapevolezza e coinvolgimento è cruciale per prevenire l’abbandono della terapia e ridurre l’impatto funzionale e psicologico della malattia nel lungo termine.
È possibile consolidare la prevenzione secondaria attraverso lo stile di vita?
Anche dopo l’insorgenza della patologia, la prevenzione secondaria riveste un ruolo cruciale nella gestione del paziente con maculopatia e non deve essere sottovalutata. In particolare, il mantenimento di uno stile di vita sano e di una corretta alimentazione rappresenta un obiettivo fondamentale, sebbene spesso difficile da raggiungere in modo continuativo e soddisfacente. Questi interventi, pur complessi da consolidare nella pratica quotidiana del paziente, contribuiscono in modo significativo al miglioramento della qualità della vita generale e alla stabilizzazione della patologia. In tale ottica, è essenziale che i Medici di Medicina Generale, in quanto primi interlocutori del paziente, mantengano un impegno costante nel promuovere e rinforzare tali comportamenti preventivi, anche attraverso un counseling mirato e ripetuto nel tempo.
Esistono test di screening a disposizione del MMG?
Tra gli strumenti di screening utilizzabili in ambito di medicina generale, il test di Amsler rappresenta una risorsa semplice ma efficace per l’identificazione precoce di alterazioni maculari. Il test consiste in una griglia regolare al cui centro è posizionato un punto di fissazione. Al paziente viene richiesto di indossare i propri occhiali da lettura, se abitualmente utilizzati, e di posizionarsi a una distanza di circa 20–30 cm dal foglio. L’esecuzione avviene con un solo occhio per volta, coprendo l’altro, e concentrando lo sguardo sul punto centrale.
La comparsa di linee distorte, ondulate o mancanti nella visione periferica del punto di fissazione rappresenta un campanello d’allarme significativo, indicativo di un possibile coinvolgimento maculare, e richiede un invio tempestivo allo specialista oculista per ulteriori approfondimenti diagnostici.
Forme ereditarie e legate all’età: quando e su chi è indicato lo screening?
Nel caso delle distrofie maculari ereditarie, la presenza di mutazioni genetiche trasmesse per via materna, paterna o da entrambi i genitori può determinare l’insorgenza della patologia anche in età giovanile. In tali forme, il coinvolgimento di soggetti giovani è dunque possibile e dipende dalla specifica mutazione genetica responsabile. Tuttavia, l’esecuzione di uno screening sistematico su tutta la popolazione giovanile risulta complessa e non sostenibile, considerata la bassa prevalenza e la variabilità clinica di queste forme ereditarie. Diversamente, nella degenerazione maculare legata all’età (AMD), il target di popolazione è chiaramente definito e corrisponde ai soggetti con più di 50 anni. In questo ambito, lo screening mirato e periodico risulta appropriato e rappresenta uno strumento efficace per la diagnosi precoce e la gestione ottimale della patologia.
Esiste una associazione tra ipovisus, cecità dell'anziano e sviluppo del decadimento cognitivo?
È ampiamente riconosciuta l’associazione tra ipovisione nell’anziano e sviluppo di declino cognitivo, analogamente a quanto osservato nei pazienti affetti da ipoacusia. La riduzione della capacità visiva e uditiva comporta un isolamento progressivo dal contesto esterno, limitando la ricezione di stimoli cognitivamente significativi. Tale deprivazione sensoriale si associa frequentemente a una diminuzione dell’autostima e a una sintomatologia depressiva, contribuendo all’insorgenza o alla progressione di sindromi dementigene.
Gli integratori disponibili per la maculopatia possono essere di qualche utilità?
Gli integratori alimentari possono offrire un beneficio nelle fasi iniziali o intermedie della maculopatia, in particolare nei pazienti a rischio di evoluzione verso forme neovascolari. È noto che un’alimentazione di tipo mediterraneo, ricca di antiossidanti e acidi grassi omega-3 di origine marina, fornisce già un’adeguata protezione antiossidante. In ambito clinico, gli integratori formulati secondo i protocolli AREDS (Age-Related Eye Disease Study) e AREDS2, validati da due studi statunitensi, hanno dimostrato una riduzione del 25% nel rischio di progressione dalla forma iniziale alla forma neovascolare della malattia.
Quali raccomandazioni dallo specialista al MMG per una diagnosi precoce?
L’aspetto cruciale nella gestione della maculopatia è rappresentato dalla tempestività diagnostica e terapeutica. Il MMG svolge un ruolo fondamentale nell’intercettare precocemente i pazienti a rischio – ad esempio quelli con familiarità positiva, patologie cardiovascolari o metaboliche – fornendo istruzioni chiare sulla necessità di sottoporsi a controlli oculistici regolari a partire dai 50 anni e all’esecuzione del test di Amsler come strumento di autovalutazione visiva. L’obiettivo è riconoscere i sintomi iniziali e garantire un invio precoce allo specialista, massimizzando l’efficacia della terapia.
Nella maculopatia, l’uso e l’abuso della strumentazione (presidi tecnologici, telefonini, televisioni, computer) potrebbe incrementarne la prevalenza?
L’impiego sempre più diffuso di dispositivi a emissione LED – quali smartphone, computer, televisori e luci artificiali – ha sollevato l’ipotesi di un possibile effetto tossico della luce blu (lunghezze d’onda corte) sulle cellule retiniche. Sebbene studi in vitro abbiano dimostrato una certa fototossicità della luce blu, le implicazioni cliniche a lungo termine in vivo restano ancora oggetto di indagine. La tossicità retinica potenziale potrebbe manifestarsi solo dopo esposizioni prolungate per decenni.
Fortunatamente, l’occhio umano è dotato di meccanismi naturali di filtrazione, in primis il cristallino, che contribuiscono a limitare l’assorbimento delle radiazioni nocive.
Conclusioni
In Italia si stima la presenza di circa un milione di pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età (AMD). Di questi, circa il 10–15% presenta la forma umida o essudativa, caratterizzata da un decorso più aggressivo e invalidante, mentre l’85–90% è affetto dalla forma secca, a progressione più lenta ma comunque impattante sulla qualità della vita.
Alla luce di questi dati, è fondamentale mettere in atto una serie di interventi multidimensionali orientati alla prevenzione, alla gestione quotidiana e alla sicurezza del paziente:
- Educazione e sensibilizzazione del paziente, promuovendo abitudini di vita salutari: cessazione del fumo, controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, protezione dai raggi ultravioletti (UV), adozione di una dieta equilibrata; è essenziale sottolineare l’importanza dei controlli oculistici periodici, soprattutto dopo i 60 anni
- Utilizzo di ausili visivi adeguati, quali lenti correttive, filtri antiabbagliamento e occhiali a contrasto potenziato, per ottimizzare la funzionalità visiva residua.
- Aggiornamento costante delle prescrizioni oculistiche e monitoraggio regolare della funzione visiva, con frequenza raccomandata ogni 6–12 mesi.
- Educazione alla deambulazione sicura, invitando il paziente a muoversi con cautela ed evitando comportamenti impulsivi che aumentano il rischio di caduta.
- Rimozione di ostacoli ambientali potenzialmente pericolosi (tappeti mobili, fili elettrici, oggetti a terra), al fine di garantire un ambiente domestico sicuro.
- Utilizzo di calzature chiuse e antiscivolo, evitando l’uso di ciabatte o pantofole aperte che possono aumentare il rischio di inciampo. *Introduzione, se necessario, di ausili alla deambulazione, come il bastone bianco o supporti specifici, a seguito di valutazione funzionale.
- Invio a centri di riabilitazione visiva, per avviare programmi di training mirati all’orientamento, allo spostamento autonomo e al miglioramento dell’adattamento funzionale.
- Valutazione multidisciplinare del rischio di cadute, in collaborazione con il geriatra, il fisioterapista e l’ortottista. Analisi del bilancio posturale e dell’equilibrio**, con eventuale intervento rieducativo personalizzato.
- Revisione della terapia farmacologica in atto, con particolare attenzione all’uso di farmaci sedativi o ipotensivi che potrebbero aumentare il rischio di cadute accidentali.
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