Giovanni Falcicchio

Policlinico di Bari, Ospedale Giovanni XXIII Bari

DOI: 10.36160/03112020.16

Articoli 28 ottobre 2022

Diagnosi differenziale dello stato epilettico

Giovanni Falcicchio

Policlinico di Bari, Ospedale Giovanni XXIII Bari

DOI: 10.36160/03112020.16

La Task Force dell’ILAE sulla classificazione dello stato epilettico (SE) nel 2015 ha definito lo SE come “una condizione in cui falliscono i meccanismi che determinano la fine di una crisi epilettica o ne vengono attivati altri diversi responsabili di un anomalo prolungamento della durata di una crisi epilettica”. Si tratta, dunque, di una condizione con potenziali conseguenze a lungo termine, tra cui la morte o il danno neuronale e la compromissione dei network neuronali, a seconda della durata e del tipo di SE.1
Stando a questa definizione è, dunque, possibile identificare due time point:

  • t1: tempo oltre il quale la crisi può essere considerata continua, essendo sfuggita ai meccanismi di autolimitazione;
  • t2: tempo oltre il quale subentra il rischio di danno cerebrale a lungo termine.

Il clinico dovrà, dunque, fare riferimento a t1 per capire quando intervenire farmacologicamente, mentre dovrà considerare t2 come momento in cui dover potenziare il trattamento per lo SE per prevenire quanto più possibile le conseguenze a lungo termine. In maniera molto schematica, Trinka e coll1 riportano i time point in rapporto al tipo di SE presentato dal paziente (Tabella 1).

Tabella 1. Time point nello stato epilettico (adattato da Trinka et al. A definition and classification of status epilepticus--Report of the ILAE Task Force on Classification of Status Epilepticus. Epilepsia 2015;56(10):1515-23).

Intuitivamente si tratta di misure di tempo indicative, che possono aiutare in maniera pratica il clinico di fronte ad una condizione di SE. Infatti, se consideriamo, per esempio, il danno potenziale a lungo termine dopo lo SE, questo varierà a seconda della localizzazione del focus epilettogeno, della intensità dello SE, dell’età del paziente ed altri fattori.1 Da quanto detto finora, si evince che il tempo di intervento è fondamentale e che, dunque, lo SE rappresenta una vera e propria emergenza neurologica.

Sebbene lo SE venga spesso associato ad una crisi tonico-clonica generalizzata, la presentazione clinica dello SE deve fare riferimento a due principali aspetti:
1) presenza o assenza di sintomi motori predominanti;
2) il grado (qualitativo e quantitativo) di compromissione della consapevolezza.
Lo SE, in cui predomina l’aspetto motorio, sarà identificato come SE convulsivo, in opposizione alle forme di SE non convulsivo (NCSE), in cui vi è l’assenza di sintomi motori predominanti.1

Considerata la variegata semeiologia e la difficoltà diagnostica, soprattutto nel caso del NCSE, gli studi epidemiologici, che sono stati condotti finora sullo SE, riportano dati molto diversificati tra loro. Un numero di circa 200.000 episodi annui è stato riportato da uno studio di popolazione prospettico condotto a Richmond, in cui l’incidenza stimata era di 41 casi su 100.000.2 In un altro studio di popolazione retrospettivo condotto a Rochester, l’incidenza dello SE corretta per età negli anni 1965-1985 era di 18.3 casi su 100.000.2 Stando ad un paper, in cui sono stati presi in esame uno studio di popolazione retrospettivo e cinque studi di popolazione prospettici, sembrerebbe che l’incidenza dello SE sia più alta nel sesso maschile (con l’eccezione di uno studio italiano)3 e nei due estremi della vita, ovvero nell’età infantile e nei soggetti con oltre 60 anni d’età, con un’incidenza fino a 10 volte superiore negli anziani, rispetto ai giovani adulti.4 Sempre nello stesso paper, vengono riconosciute le convulsioni febbrili come principale causa di SE nel bambino (>52% di tutti i casi), mentre eventi cerebrovascolari acuti, ipossia cerebrale, dismetabolismi e livelli subterapeutici dei farmaci anticrisi rientrerebbero tra le cause principali di SE nell’anziano.4

Le cause dello SE sono le stesse della classificazione delle eziologie delle epilessie proposta dalla Task Force dell’ILAE del 2017,5 ovvero cause note (strutturale, metabolica, infettiva, genetica, immune) e non note. Nello specifico, Trinka e coll suddividono ulteriormente le cause note dello SE in tre gruppi,1 come riportato nella Figura 1 sottostante.

fig1.png Figura 1. Eziologia dello SE quando la causa è nota, ovvero sintomatica.1

Al di là delle cause più comuni dello SE, la lista delle possibili noxae scatenanti lo SE è lunga e lo SE dovrebbe essere considerato il sintomo di condizioni patologiche sottostanti, piuttosto che un’entità a sé.6 Uno studio prospettico del 2010 è stato condotto in Francia su 248 pazienti adulti che avevano fatto accesso presso il Pronto Soccorso per SE convulsivo. Nello studio, vengono specificate le cause dello SE, suddividendo la coorte presa in esame in pazienti, con e senza epilessia (Tabella 2).7 Questo a sottolineare che la causa dello SE può essere diversa, anche in considerazione delle patologie di base del paziente (banalmente, se un paziente soffre o meno di epilessia).

tab2_new.png Tabella 2. Cause di SE in pazienti, senza e con diagnosi di epilessia. Considerare che alcuni pazienti possono avere più di una causa.7

Quelle sopracitate sono le più comuni cause di SE, ma Gaspard ha elaborato una dettagliata lista di quadri clinici rari e meno frequenti, potenzialmente responsabili di una condizione di SE,8 raggruppabili in quattro categorie, quali encefaliti infettive ed autoimmuni, encefaliti infettive non comuni, disordini genetici, quadri patologici legati all’uso di determinati farmaci, o interventi, o alla presenza di tossine. Analizzare ogni singolo gruppo nosologico non è lo scopo di questo articolo, ma sapere che circa 200 differenti condizioni patologiche possono essere responsabili dello SE e che sino al 50% di esse richiede un trattamento che esula dalla semplice terapia anticrisi rende ragione della complessità diagnostica che il clinico può riscontrare, soprattutto in caso di cause non comuni.8

Oltre la difficoltà nella ricerca eziologica dello SE, la diagnosi differenziale dello SE può essere altrettanto complessa e si pone con condizioni patologiche con analogia semeiologica allo SE. Occorre, a questo punto, discutere le potenziali sfide poste al clinico nella diagnosi differenziale di SE convulsivo e NCSE ed i loro mimic:

  1. SE convulsivo: sebbene lo SE convulsivo possa essere facilmente riconosciuto dal clinico, ci sono limitate situazioni che possono mimarlo. Un esempio, sono le crisi psicogene (PNES, ovvero psychogenic nonepileptic seizures), anch’esse caratterizzate da movimenti parossistici anomali ed alterazione della responsività, in assenza di correlato all’elettroencefalogramma (EEG).9 Si parla di stato epilettico psicogeno, pseudostato o PNES-status in presenza di una PNES che duri più di 30 minuti. Chiaramente, andare incontro ad uno pseudostato non comporta alcun rischio di danno cerebrale, come quello legato allo SE propriamente detto.10 In uno studio, è stato dimostrato che circa il 77% dei pazienti con crisi psicogene aveva riportato uno stato epilettico psicogeno ed il 73% dei pazienti aveva necessitato di accesso all’unità di terapia intensiva, dove il 27% di essi aveva ricevuto cure.10 La video-EEGrafia è il gold standard per la diagnosi differenziale tra queste due condizioni; tuttavia, molte strutture dedicate all’emergenza possono non esserne provviste, o non esserne provviste 24/24 h o, comunque, potrebbe risultare difficile valutare la presenza di anomalie EEGgrafiche, a causa degli artefatti di movimento dovuti alle manifestazioni motorie (ammesso che si riescano a posizionare gli elettrodi sul capo del paziente). Pertanto, la diagnosi è clinica e dovrebbe essere guidata da alcune caratteristiche tipiche delle PNES, quali il decorso fluttuante dei fenomeni motori, la spinta pelvica, i movimenti latero-laterali, la chiusura degli occhi ed il pianto critico, oltre che la suscettibilità alle interferenze dell’ambiente circostante.11 Uno studio anamnestico approfondito potrebbe essere d’aiuto nell’identificare dei trigger sia dello SE che dello pseudostato. Nella Figura 2, sono riportate alcune manifestazioni cliniche che possono entrare in diagnosi differenziale con lo SE convulsivo.12

fig2.png Figura 2. Diagnosi differenziale dello SE convulsivo.12

  1. NCSE: un certo numero di patologie può clinicamente mimare lo NCSE (Figura 3),13 ma ci sono delle caratteristiche (tuttavia, non patognomoniche) che possono aiutare ed indirizzare il clinico verso la diagnosi di NCSE:13
    • alterazione della consapevolezza, o stato comatoso;
    • minimi fenomeni motori (per esempio, a livello facciale);
    • EEG con alterazioni periodiche, o ritmiche, che rispettino i criteri di Salisburgo.14

fig3.png Figura 3. Diagnosi differenziale dello NCSE.13

Quello che conta per porre una diagnosi corretta è procedere seguendo gli step sottoelencati:6

  • raccolta anamnestica adeguata. Il clinico deve effettuare un’anamnesi personale del paziente quanto più dettagliata possibile, con particolare attenzione alla terapia farmacologica assunta e ad eventuali episodi simili sperimentati nel passato, indagando sulle circostanze in cui l’evento si è verificato;
  • esame obiettivo e misurazione dei parametri vitali;
  • esami ematochimici. In tutti i pazienti, con o senza epilessia, dovrebbero essere eseguite della analisi ematochimiche standard, che includano emocromo, glicemia, funzionalità renale ed epatica, indici di flogosi, oltre che esame tossicologico. In caso di pazienti che assumano terapia anticrisi, il dosaggio plasmatico dei farmaci anticrisi assunti potrebbe essere d’aiuto per escludere eventuali stati di intossicazione, o di scarsa compliance;
  • EEG. Essenziale per confermare il sospetto clinico di SE, soprattutto nel caso di NCSE;
  • TC cranio o RM encefalo. Gli esami di neuroimaging devono essere richiesti dal clinico sulla base del sospetto diagnostico e, soprattutto, una volta che il paziente sia stato clinicamente stabilizzato;
  • rachicentesi diagnostica. Dovrebbe essere eseguita, in assenza di controindicazioni, in tre circostanze particolari: 1) sospetta infezione del SNC o in soggetti immunodepressi; 2) in caso di negatività degli esami ematochimici e strumentali; 3) se vi è forte sospetto di eziologia autoimmune.

Uno strumento di facile utilizzo è stato proposto per l’identificazione rapida della causa dello SE ed è lo Status Epilepticus Etiology Identification Tool (SEEIT),15 il quale ha dimostrato una concordanza tra l’ipotesi eziologica supposta con il suo utilizzo e la diagnosi alla dimissione nell’88.7% dei casi. Questo strumento è costituito da una checklist suddivisa in 4 parti:15
1) parte 1: serve per confermare la diagnosi di SE ed escludere eventuali manifestazioni psicogene;
2) parte 2: serve per valutare se lo SE si presenta in un paziente con nota epilessia, in presenza di una lesione cerebrale strutturale (progressiva o non progressiva), o in un paziente senza antecedenti di manifestazioni epilettiche;
3) parte 3: si focalizza sugli SE de novo, valutando possibili noxae sottostanti a carattere strutturale o meno;
4) parte 4: si focalizza sull’eziologia infettiva dello SE e sui dati derivanti dalla rachicentesi diagnostica, se eseguita.

Si tratta di uno strumento che mira a velocizzare l’identificazione della eziologia dello SE, permettendo di intervenire il più precocemente possibile sulla causa scatenante; tuttavia, necessiterebbe di ulteriore utilizzo per valutarne la reale efficacia nella pratica clinica.

In conclusione, la diagnosi differenziale dello SE, sia esso convulsivo che non convulsivo, costituisce una vera e propria sfida per il clinico, il quale dovrebbe subito identificare la causa scatenante dello SE per mettere in atto un trattamento “sartorializzato” cercando, in tale maniera, di ridurre la mortalità associata allo SE (che, nel complesso, si aggira intorno al 20%)16 ed evitare potenziali conseguenze neurologiche per il paziente.

Bibliografia:


1. Trinka E et al. A definition and classification of status epilepticus--Report of the ILAE Task Force on Classification of Status Epilepticus. Epilepsia 2015;56(10):1515-23.

2. Seinfeld S et al. Status Epilepticus. Cold Spring Harb Perspect Med. 2016;6(3):a022830.

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4. Shorvon S, Sen A. What is status epilepticus and what do we know about its epidemiology? Seizure 2020;75:131-6.

5. Scheffer IE et al. ILAE classification of the epilepsies: Position paper of the ILAE Commission for Classification and Terminology. Epilepsia 2017;58(4):512-21.

6. Valton L et al. Etiological assessment of status epilepticus. Rev Neurol. (Paris) 2020;176(6):408-26.

7. Legriel S et al. Functional outcome after convulsive status epilepticus. Crit Care Med. 2010;38(12):2295-303.

8. Gaspard, N. (2018). Unusual Causes of Status Epilepticus. In: Drislane, F., Kaplan MBBS, P. (eds) Status Epilepticus. Current Clinical Neurology. Springer, Cham.

9. Bodde NM et al. Psychogenic non-epileptic seizures--definition, etiology, treatment and prognostic issues: a critical review. Seizure 2009;18(8):543-53.

10. Reuber M et al. Clinical significance of recurrent psychogenic nonepileptic seizure status. J Neurol. 2003;250(11):1355-62.

11. Kholi H et al. PNESSE 1: Psychogenic status and status epilepticus: Could they be distinguished retrospectively? A survey among neurologists. Epilepsy Behav. 2020;102:106665.

12. Huff SJ, Seizures and Status Epilepticus in Adults: Part I, Emergency Medicine Reports, 2007.

13. Holtkamp M, Meierkord H. Nonconvulsive status epilepticus: a diagnostic and therapeutic challenge in the intensive care setting. Ther Adv Neurol Disord. 2011;4(3):169-81.

14. Beniczky S et al. Unified EEG terminology and criteria for nonconvulsive status epilepticus. Epilepsia 2013;54 Suppl 6:28-9.

15. Alvarez V et al. Evaluation of a clinical tool for early etiology identification in status epilepticus. Epilepsia 2014;55(12):2059-68.

16. Betjemann JP, Lowenstein DH. Status epilepticus in adults. Lancet Neurol. 2015;14(6):615-24.

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