Questo primo incontro del progetto ABOUTEV, svoltosi on line il 21 ottobre, ha affrontato un problema attuale e di grande rilevanza sia per la classe medica sia per i pazienti: “Il contenzioso sanitario senza filtri: realtà clinica vs. realtà giuridica e medico-legale”.
Il contenzioso sanitario si riferisce alle dispute legali che sorgono tra pazienti e professionisti della sanità o strutture sanitarie a seguito di presunti errori medici, negligenze o mancanza di cure adeguate. A questo riguardo va sottolineato come, ogni anno, decine di migliaia di pazienti subiscano danni in ospedale e si verifichino errori chirurgici, ritardi o sbagli nelle diagnosi, decessi evitabili. Secondo i dati più recenti, il numero di denunce per errori medici è aumentato del 20% negli ultimi 10 anni. Le specializzazioni maggiormente coinvolte nel contenzioso sono quelle chirurgiche, ostetriche e anestesiologiche, dove il margine di rischio è più elevato. Solo nel 2020, i risarcimenti per malasanità sono stati stimati intorno ai 500 milioni di euro.
Alla luce di ciò, questo primo talk show si è focalizzato su due delle tematiche di maggior rilievo in ambito di contenzioso sanitario:
1. La normativa applicabile al contenzioso sanitario: quid iuris? Riflessioni a margine della Legge n. 24/2017 c.d. Legge Gelli-Bianco
2. Aspetti del contenzioso sanitario nel trattamento di terapie antitrombotiche
A trattare tali argomenti sono state chiamate 3 figure professionali coinvolte, a diverso titolo, in essi:
- Proff. Davide Imberti, responsabile Scientifico del corso, Direttore UOC Medicina Interna, Centro Emostasi e Trombosi, Ospedale Civile di Piacenza
- Proff. Umberto Genovese, Professore Ordinario di Medicina Legale, coordinatore del Laboratorio di Responsabilità Sanitaria, Università degli Studi di Milano
- Cristina Lombardo, Avvocato esperta di responsabilità sanitaria in ambito civile
La normativa applicabile al contenzioso sanitario: quid iuris? Riflessioni a margine della Legge n. 24/2017 c.d. Legge Gelli-Bianco
La suddetta legge, entrata in vigore il primo di aprile del 2017, rappresenta una riforma fondamentale nel sistema di responsabilità sanitaria italiano. Essa regolamenta sia l'ambito della sicurezza delle cure della persona assistita, sia l'ambito della responsabilità sanitaria. Sostanzialmente il legislatore è intervenuto in questo settore perché ha capito negli anni come, il numero di contenziosi stava aumentando. Ciò era dovuto al fatto che i giudici tendevano a favorire oltremodo il paziente, causando delle ricadute in termini di medicina difensiva, di dilatazione dei tempi dei processi e di risarcimenti.
Con la legge 24/2017 si è cercato di creare un equilibrio tra la protezione dei diritti dei pazienti e la tutela degli operatori sanitari, introducendo misure volte a ridurre il contenzioso e a garantire una maggiore sicurezza nelle cure. La ratio consiste quindi nel cercare di alleggerire per quanto più possibile la posizione dei sanitari e, nel contempo, aggravare quella delle strutture sanitarie pubbliche e private. Questo perché il medico che opera in esse può segnalare una disfunzione o una criticità al direttore sanitario, ma quasi mai può obbligare il direttivo a investire delle risorse per garantire la sicurezza delle cure.
Questi cambiamenti hanno portato a una riduzione del numero di procedimenti penali a carico dei medici, favorendo una maggiore serenità nell’esercizio della professione. La legge ha inoltre incoraggiato il ricorso alla mediazione e alla conciliazione nelle controversie sanitarie, riducendo il ricorso alle aule di tribunale e accelerando i tempi di risoluzione dei contenziosi.
Tipi di responsabilità
Vi sono tre diverse tipologie di responsabilità: civile, penale e amministrativa. L'ambito civilistico riguarda il risarcimento del danno, quindi un illecito che ha una rilevanza a livello civile; una condotta di un soggetto che provochi un danno ingiusto a un altro soggetto deve dar seguito a un risarcimento. In ambito penale, invece, perché ci sia responsabilità occorre che la condotta configuri un reato di rilevanza penale e, in questo caso, la sanzione sarà pecuniaria oppure la detenzione nei casi più gravi. Mentre nell'ambito amministrativo è la rivalsa nei confronti della struttura sanitaria che è costretta a pagare per la condotta colposa del medico.
Linee guida della legge Gelli
Il concetto di linea guida rappresenta una serie di condotte e di scelte che, con una genesi di sostenibilità economica, portano a individuare gli orientamenti eligibili per i soggetti deputati alla diagnosi e alla cura. La puntualizzazione della legge potrebbe portare a una sorta di medicina difensiva, per cui il medico si mette al riparo seguendo pedissequamente le linee guida in essa contenute. Esse nascono dalle società scientifiche, sostanzialmente italiane, e poi devono passare attraverso l’approvazione del Ministero. Un orientamento è da ritenere sicuramente necessario, pur consentendo che ci si possa discostare da questo in quanto le linee guida sono delle indicazioni di carattere generale, ma nella pratica quotidiana i medici curano i pazienti, non le malattie.
Il divergere da esse, come la legge Gelli prevede se le situazioni di quel determinato paziente (età, comorbilità, ecc.) lo richiedono, è cosa sicuramente utile. Infatti, il medico non si deve sentire al riparo se in quel caso specifico ha seguito le linee guida, ma avrebbe dovuto discostarsene.
Mancata ottemperanza alle linee guida
Le linee guida sono degli atti di indirizzo, ma non un dogma. La legge Gelli, che apparentemente ha semplificato la condotta del medico, paradossalmente l’ha complicata. Innanzitutto, non sono complete, non essendovi riportati tutti gli ambiti clinici. Inoltre, molte volte sono obsolete e richiedono di essere rinnovate; le società scientifiche, sia nazionali che internazionali, prima di poterlo fare in maniera metodologica corretta necessitano di molto tempo. Pertanto, far riferimento a una linea guida superata perché lo dice il Ministero della Salute, molte volte può confliggere con l'attualità clinica, che è magari completamente diversa in quanto, nel frattempo, sono cambiati metodi profilattici o terapeutici. Lo specialista che decide di discostarsi da una linea guida dovrà comunque giustificare il suo operato, specificando in cartella clinica gli elementi che lo spingono ad agire in maniera diversa.
Fondamentale è la motivazione che il medico fornirà per giustificare l’aver seguito o il non aver ottemperato alle linee guida. Ciò al fine di limitare la possibilità che dei consulenti, anche a distanza di anni, possano sbagliare a dare il proprio giudizio su quel caso. Tale accorgimento non è solo a tutela del clinico e della struttura, ma anche della società, che talvolta si accolla dei costi di procedimenti che potrebbero essere evitati se ci fosse stata chiarezza nella descrizione della cartella clinica.
Le linee guida, con l’introduzione della legge Gelli-Bianco, hanno assunto anche a livello giuridico una centralità decisiva per la valutazione della correttezza della condotta. Poiché le cause possono arrivare anche a distanza di anni, è importantissimo documentare in cartella clinica il percorso logico e quindi motivazionale che ha portato a discostarsene. Infatti, se non si riesce a ricostruire la condotta del sanitario, il giudice presumerà un nesso di causa tra essa e il danno lamentato dal paziente. Una documentazione dettagliata fornisce una prova tangibile dell'operato del medico e può essere utilizzata come strumento difensivo in caso di controversie legali per dimostrare che ha agito in buona fede e secondo scienza e coscienza.
Responsabilità civile e penale dei sanitari
Al fine di riequilibrare il sistema e renderlo nuovamente sostenibile, il legislatore nel 2017 ha deciso di introdurre a livello civilistico un doppio binario della responsabilità. Questo perché, alla fine degli anni ‘90, i giudici hanno deciso di contrattualizzare a 360 gradi la responsabilità dei clinici; quindi, di far applicare le regole del contratto in ambito di contenzioso per tutti i medici, anche quelli che operano come strutturati all'interno delle aziende ospedaliere e non vengono di fatto scelti dal paziente e quindi con i quali non si conclude un contratto. Questo per favorire, nell'ambito del contenzioso, il soggetto più debole e quello con meno strumenti a livello probatorio per ricostruire i fatti.
In pratica, i sanitari strutturati risponderanno a titolo extracontrattuale, mentre quelli scelti dal paziente, che operano nel loro studio, e le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche/private continueranno a rispondere a titolo contrattuale. Pertanto, durante il processo, i soggetti che rispondono a titolo contrattuale saranno onerati dal provare di aver correttamente adempiuto agli obblighi nei confronti del paziente, mentre per quanto riguarda gli strutturati, se il paziente deciderà di coinvolgerli, o da soli o insieme alla struttura sanitaria, dovrà essere consapevole che d'ora in poi l'onere di provare l'errore del medico sarà a suo carico.
In termini di prescrizione, per gli strutturati l'azione deve essere esercitata entro 5 anni, mentre nell'ambito contrattuale (strutture e liberi professionisti) rimane di 10 anni. Tale termine inizia a decorrere da quando effettivamente si è verificato il danno e il paziente ha contezza che esso sia riconducibile a una condotta del clinico.
Tuttavia, il legislatore ha dato una garanzia in più al paziente, introducendo la possibilità di agire nei confronti della compagnia assicurativa, ma solo di quei soggetti che rispondono secondo i principi della responsabilità contrattuale; quindi, non ci sarà azione diretta nei riguardi della compagnia assicurativa degli strutturati, alleggerendo di fatto il più possibile la loro posizione.
Nel caso della responsabilità penale si parla di illecito che ha una rilevanza penale e dunque di reato. Quindi, nell'ambito delle lesioni o dell'omicidio colposo, il legislatore ha scelto di inserire nel Codice penale una specifica norma (articolo 590 sexies) che regola la responsabilità professionale colposa dei professionisti sanitari e ha introdotto una esimente alla loro punibilità. In pratica si valuta la condotta del medico, anche se colposa (lesioni o addirittura morte del paziente), ma se si verificano determinate condizioni il medico non verrà punito, così da evitargli quel pathos nel ricevere un avviso di garanzia e rimanere esposto in ambito penale per diversi anni.
Quali sono questi requisiti? Se il medico dimostra di essersi attenuto alle linee guida emanate dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche accreditate presso l'Istituto Superiore di Sanità e pubblicate sul sito del Sistema Nazionale Linee Guida (bollinate) o, se non vi sono linee guida, di aver applicato le buone norme di pratica clinica. Naturalmente il legislatore richiede che il clinico provi di aver valutato nello specifico il caso concreto, perché vi sono situazioni in cui è obbligo discostarsi dalle linee guida; quei casi, ovviamente, devono essere documentati. Inoltre, perché sia applicabile questa esimente, occorre che la condotta del medico sia riconducibile a imperizia e non a negligenza o a imprudenza. Egli può avvalersi di tale norma solo se commette una colpa lieve, mentre in caso di colpa grave, anche se dimostra di essersi attenuto alle linee guida, verrà comunque punito.
Sorge però una questione: come è possibile che un medico si sia attenuto alle linee guida e contestualmente sia stato imperito? Le sezioni unite nella Corte di Cassazione Penale hanno spiegato che ottemperare alle linee guida significa seguire un percorso suddiviso in tre fasi: dapprima il medico valuta il caso e sceglie rispetto alla patologia del paziente le linee guida applicabili, successivamente ne verifica la corretta applicazione rispetto alla specificità del caso concreto, infine la mette in pratica. L’esimente si applica solo se l’errore si verifica in quest’ultima fase, ma non nelle prime due.
Per facilitare la condotta clinica e proteggere da eventuali contenziosi medico-legali é necessario che ogni azienda (ospedaliera o clinica universitaria) abbia un protocollo condiviso su determinate tematiche, inserito nella realtà locale e personalizzato per singolo paziente. L'unico modo per farlo rispettare è inserirlo tra gli indicatori di budget, così da facilitare e rendere omogenea una determinata condotta di tipo diagnostico, profilattico e terapeutico; inoltre rappresenta una tutela medico-legale, in quanto molte volte il magistrato chiede all'accusato l’esistenza nella sua azienda di un protocollo relativo a una particolare problematica.
Difesa individuale e di gruppo
Sicuramente in ambito penalistico è preferibile scegliere la difesa personale, poiché talvolta il giudizio sul comportamento del singolo si confronta necessariamente con quello di qualcun altro, magari un collega. Da un punto di vista civilistico esiste una difesa della struttura; l’aver seguito un protocollo non esime però il medico dal giudizio di responsabilità individuale, anche se abbia accettato le scelte di gruppo, aziendali, regionali indotte da motivi politici o economici. La responsabilità è l'essenza stessa della professione medica e non può che essere individuale e passare da una autonomia gestionale.
In ambito civilistico si conferma come la scelta migliore per i medici strutturati sia la difesa individuale, anche se il contratto collettivo nazionale del lavoro preveda che possano essere assistiti da un avvocato fornito dalla struttura stessa. I motivi sono duplici: da una parte la compagnia che garantisce la responsabilità civile verso terzi (RCT) si fa carico anche delle spese di un legale di fiducia del sanitario, dall’altra, nel caso di una rivalsa da parte della struttura nei confronti del medico, l’avere una difesa personale che si occupa di analizzare la sua condotta, traslando e argomentando i suggerimenti e le indicazioni del medico in un atto, risulta più vantaggioso.
Responsabilità amministrativa
L'articolo 9 della legge 24 del 2017 è quello di riferimento per la responsabilità amministrativa, relativa alle strutture e al dipendente in ambito pubblico; invece, l'azione di rivalsa riguarda i dipendenti di struttura privata. Grazie all'introduzione del doppio binario della responsabilità, i medici strutturati verranno sempre meno coinvolti nel processo civile, quindi risarcitorio, a discapito sia delle strutture presso le quali essi operano sia delle loro compagnie assicurative tramite l'azione diretta. Quando una delle due avrà pagato l'intero danno a favore del paziente, potrà rivalersi nei confronti del medico che ritengono responsabile della condotta che l’ha cagionato. La ratio, come visto in precedenza, consiste nell’alleggerire per quanto più possibile la posizione dei sanitari strutturati.
Il legislatore ha scelto di introdurre un duplice limite alla rivalsa: uno di carattere qualitativo e uno di carattere quantitativo. Pertanto, dopo l’intero risarcimento del danno, la struttura o la compagnia potranno esperire un'azione di rivalsa solo se verrà riconosciuta una condotta gravemente colposa del sanitario. Al contrario, se la colpa è lieve, l’indennizzo rimane a carico della struttura o della compagnia assicurativa. Nei casi di colpa grave è stato inserito anche un limite quantitativo a questa azione di rivalsa, nella misura di tre volte il reddito annuo lordo. Ad esempio, se questi è di 60 mila euro, 180 mila euro sarà l’importo che il medico dovrà versare alla struttura o alla compagnia assicurativa. In precedenza, la rivalsa poteva essere totale: se il paziente fosse stato risarcito con un milione di euro, il limite avrebbe potuto essere di un milione di euro. Questa è una novità per quanto riguarda le strutture private perché, mentre questo limite della colpa grave del dolo era già applicabile per i dipendenti pubblici, per quanto riguarda invece l'ambito privato l'azione di rivalsa era totale nei confronti dei sanitari. Per usufruire di questa opportunità fornita dal legislatore, i medici che operano nelle strutture sanitarie/sociosanitarie, pubbliche o private, hanno l'obbligo dal 2017 di contrarre una polizza di colpa grave che copra questa azione di rivalsa.
In caso di contenzioso, la scelta migliore da parte del medico accusato è affidarsi a un buon perito e a un buon medico legale, perché spesso fa veramente la differenza. Infatti, poiché a volte si leggono sentenze inaccettabili, l’esperienza periziale suggerisce come sia meglio rivolgersi a validi professionisti, in grado di sapere quello che scrivono, quello che fanno e come muoversi.
Ruolo della Corte dei Conti
In questo periodo esiste un certo timore, a tutti i livelli (medici, amministrativi, ospedalieri), nei confronti della Corte dei Conti per quanto riguarda non tanto la responsabilità penale, quanto la rivalsa. Una paura infondata in quanto, se da un lato è obbligatoria la tutela assicurativa che salvaguarda il medico, dall’altro risulta difficile dimostrare un comportamento di colpa grave tramite evidenze macroscopiche di trascuratezza e di mancato uso di strumenti in grado di prevenire il danno. In pratica, le situazioni in cui si accerta la colpa grave sono veramente rare, tanto meno il dolo, vale a dire la volontà di un medico di procurare un danno a un paziente.
Va però evidenziato come un cittadino senza un background tecnico per capire quello che di negativo è accaduto a sé stesso o ai suoi cari possa intraprendere la via giudiziaria. Si dovrebbe forse cominciare a interrogarci di quanto i medici siano responsabili nell'avere indotto il paziente ad attendersi sempre la guarigione senza sequele e nel non avergli fornito le giuste spiegazioni della possibile comparsa di eventi avversi.
Molto importante risulta la correttezza del legale incaricato dal paziente o dai suoi parenti. In caso di aggravamento della patologia o addirittura di decesso, l’avvocato deve affidare l'analisi del caso a un medico legale competente e a uno della disciplina interessata per valutare se effettivamente si sia trattata di una condotta colposa oppure semplicemente di una complicanza senza colpa. In quest’ultimo caso, l’avvocato dovrà riportare correttamente ai suoi assistiti la situazione, spiegando loro che non c'è margine per procedere e avanzare una richiesta risarcitoria. In tal modo si scremerebbero quelle richieste temerarie che appesantiscono la gestione dei sinistri e i relativi costi, sottraendo inoltre risorse per altre attività in ambito sanitario.
Vi diamo l'appuntamento al prossimo Talk Show, che si terrà lunedì 25 novembre, dal titolo “Informazione e consenso informato: il diritto di autodeterminazione del paziente e l’autonomia professionale del medico. Quali le implicazioni per lo specialista che si occupa di TEV” con i Proffessori Francesco Dentali, Davide Imberti, Umberto Genovese, l’avvocato Cristina Lombardo e con la moderazione di Lorella Bertoglio.
Per l’iscrizione al Talk Show del 25 novembre vi invitiamo ad iscrivervi da aboutev.it
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