Lo scorso 11 aprile 2025 si è tenuto il secondo incontro dell'edizione 2025 di Reuma in Heart.
Il Progetto prevede un ciclo di incontri via webinar volto ad approfondire il legame tra patologie reumatologiche e rischio cardiovascolare (CV).
Dopo aver affrontato il tema del rischio CV nell’artrite reumatoide (AR), durante l’anno scorso, il Progetto prosegue con l'obiettivo di migliorare la conoscenza delle comorbidità cardiovascolari nelle diverse forme di artropatie infiammatorie, condizioni che riducono significativamente l'aspettativa di vita, con un focus innovativo su un aspetto spesso trascurato, come il ruolo della depressione nel rischio CV.
All’incontro ha partecipato un team multidisciplinare di esperti, che ha incluso la Prof.ssa Fabiola Atzeni dell’Università degli Studi di Messina, Direttore UOC di Reumatologia, come Responsabile Scientifico e Moderatore, il Dr. Fabio Cacciapaglia, Dirigente Medico Reumatologo, Reumatologia Universitaria Policlinico di Bari, il Prof. Gian Luca Erre, Professore Associato UO di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Farmacia, Università degli Studi di Sassari e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari e la Prof.ssa Elena Bartoloni Bocci, Professore Associato, SC Reumatologia, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Perugia.
L’incontro ha fornito un aggiornamento approfondito sulla valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti con artriti infiammatorie, focalizzandosi sull’impiego integrato di score predittivi e diagnostica per immagini nella pratica clinica.
Sono stati approfonditi:
- i motivi clinici e metodologici per stimare il rischio cardiovascolare nei pazienti con malattie articolari infiammatorie, utilizzando score validati come SCORE2 ed il Progetto CUORE, in linea con le raccomandazioni EULAR ed ESC.
- Il contributo delle tecniche di imaging, in particolare ecografia vascolare, angio-TC e risonanza magnetica cardiaca, nel raffinare la stratificazione del rischio, soprattutto nei pazienti con fenotipi ad alto rischio o malattia sistemica attiva.
- Una valutazione critica degli score disponibili, con analisi di vantaggi, limiti e applicabilità nei pazienti reumatologici, alla luce delle peculiarità clinico-patogenetiche dell’infiammazione cronica sistemica.
- Infine, è stata discussa l’integrazione tra score e imaging nella gestione del rischio cardiovascolare, valutandone l’utilizzo trasversale tra le diverse forme di artropatia infiammatoria, con l’obiettivo di ottimizzare la prevenzione primaria e secondaria.
Il ruolo degli scores per stimare il rischio CV a 10 anni nelle artropatie infiammatorie
Il Dr. Cacciapaglia ha illustrato l’uso degli algoritmi predittivi per la stima del rischio cardiovascolare nelle artropatie infiammatorie. Ha evidenziato come, nel contesto reumatologico, sia cruciale sviluppare competenze cardiovascolari specifiche per affrontare le alterazioni multistrutturali dell’apparato cardiovascolare causate dalle malattie reumatiche sistemiche.
Numerosi dati epidemiologici e clinici dimostrano come le lesioni vascolari siano costantemente presenti nelle principali forme di artrite infiammatoria cronica, quali artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante. A livello patogenetico,
è stata documentata una significativa sovrapposizione tra i meccanismi responsabili del danno articolare e quelli coinvolti nella genesi della placca aterosclerotica: attivazione e disfunzione endoteliale, infiltrato infiammatorio, neoangiogenesi e degradazione del collagene rappresentano elementi condivisi.
Le differenze tra le diverse forme cliniche di artrite possono tuttavia influenzare la prevalenza e la severità delle manifestazioni cardiovascolari.
I dati derivati da database amministrativi statunitensi indicano un aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondiloartriti, con un rischio relativo stimato intorno a 1,5 rispetto alla popolazione generale. L'artrite reumatoide, in particolare, è considerata un modello paradigmatico di aterosclerosi accelerata, in cui i fattori di rischio tradizionali sono aggravati da uno stato infiammatorio sistemico cronico, spesso non adeguatamente controllato. In particolare, l'attivazione endoteliale, mediata da autoanticorpi e citochine pro-infiammatorie, è un meccanismo patogenetico centrale.
Nel caso dell'artrite psoriasica e della psoriasi, la componente infiammatoria e cardio-metabolica, influisce sulla scelta dell’algoritmo più adatto per la stima del rischio cardiovascolare. Questa distinzione tra un modello patogenetico prevalentemente infiammatorio (artrite reumatoide) e uno cardio-metabolico infiammatorio (artrite psoriasica) potrebbe risultare rilevante ai fini della scelta dell'algoritmo più adeguato alla stima del rischio cardiovascolare.
Nel corso del webinar è stato sottoposto ai partecipanti un quesito esplorativo per indagare l'effettiva integrazione della valutazione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica reumatologica. I risultati hanno evidenziato che la maggior parte dei partecipanti possiede un buon livello di integrazione della valutazione del rischio CV nella pratica clinica, sebbene una parte significativa lo faccia solo saltuariamente, principalmente per motivi legati alla limitata disponibilità di tempo durante la visita. Nessun partecipante ha dichiarato di non eseguire mai tale valutazione.
La discussione ha sottolineato come la valutazione del rischio cardiovascolare debba rappresentare un elemento imprescindibile nella gestione del paziente reumatologico, pur riconoscendo le sfide organizzative che ne limitano l'adozione. L'utilizzo di strumenti digitali per il calcolo rapido del rischio è stato indicato come strategia utile per superare tali ostacoli.
Secondo le raccomandazioni EULAR del 2016, la responsabilità della valutazione e della gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante ricade sul reumatologo. In particolare, viene raccomandata una rivalutazione del rischio almeno ogni cinque anni o in occasione di modifiche terapeutiche e variazioni significative dell'attività di malattia. In assenza di algoritmi specifici validati per la popolazione con malattie reumatiche infiammatorie, viene raccomandato l’uso di SCORE2 o Progetto CUORE con moltiplicatore correttivo 1.5.
Il Progetto CUORE, sviluppato per la popolazione italiana, rappresenta un'alternativa concreta allo SCORE2, con il vantaggio di includere esplicitamente il diabete tra i fattori di rischio. Entrambi gli strumenti permettono una valutazione rapida e accessibile, potenzialmente integrabile nella routine ambulatoriale.
Durante il webinar è stata discussa anche la conoscenza e l'utilizzo di altri algoritmi, tra cui Framingham, Reynolds, QRISK3 ed Expanded Risk Score. Mentre i primi tre sono stati riconosciuti come meno adatti alla popolazione europea o italiana, l'Expanded Risk Score è emerso come un potenziale strumento innovativo, in grado di integrare variabili reumatologiche specifiche, come l'attività di malattia, la disabilità e l'utilizzo di corticosteroidi.
La gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti reumatologici deve essere intesa come parte integrante della presa in carico multidisciplinare, condivisa con il medico di medicina generale e lo specialista cardiologo, con l'obiettivo ultimo di ridurre la mortalità e migliorare la prognosi a lungo termine.
Prevenzione e valutazione dei fattori di rischio CV
Il Professor Erre ha proposto un'analisi approfondita delle modalità di valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da malattie reumatiche infiammatorie, con particolare riferimento all'artrite reumatoide, all'artrite psoriasica e alle spondiloartriti.
La valutazione del rischio cardiovascolare si fonda su alcuni principi fondamentali, tra cui la consapevolezza che la malattia cardiovascolare rappresenta una delle principali cause di morte nei Paesi occidentali e che, in larga parte, essa risulta prevenibile. La malattia cardiovascolare è il risultato dell'interazione tra fattori di rischio non modificabili, quali età, sesso e predisposizione genetica, e fattori modificabili, tra cui ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito, sedentarietà e fumo di sigaretta.
Una gestione efficace e combinata dei fattori modificabili può, secondo stime epidemiologiche, prevenire circa il 50% delle morti cardiovascolari. In tale contesto, la personalizzazione della strategia preventiva e terapeutica in base al profilo individuale del paziente (età, genere, comorbidità, severità della malattia reumatica) è di cruciale importanza.
La valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti con artriti infiammatorie è una pratica da integrare routinariamente nella visita clinica, essendo i principali parametri necessari (età, sesso, pressione arteriosa, colesterolemia, fumo) già generalmente disponibili nel corso dell'anamnesi. La stima del rischio non solo consente al clinico di individuare i pazienti candidabili a misure preventive più intensive, ma rappresenta anche uno strumento efficace nella comunicazione con il paziente: illustrare come modifiche dello stile di vita o interventi farmacologici possano influenzare concretamente l'aspettativa di vita costituisce un forte stimolo all'aderenza terapeutica. Studi recenti hanno infatti evidenziato che un soggetto di 50 anni senza fattori di rischio o con fattori ben controllati può avere un'aspettativa di vita superiore di oltre 10 anni rispetto a un coetaneo con multipli fattori non trattati.
Numerosi sono gli algoritmi sviluppati per stimare il rischio cardiovascolare, ognuno con specifiche metodologiche e popolazioni di riferimento. Tuttavia, tutti condividono l'obiettivo di collocare il paziente in una fascia di rischio clinicamente rilevante, più che fornire una stima puntuale e assoluta. Tra i più noti si annovera il Framingham Risk Score, il primo modello predittivo sviluppato negli Stati Uniti a partire dall'omonimo studio di coorte. Esso ha il merito di aver identificato i principali fattori convenzionali di rischio, ma risulta limitato nella sua applicabilità alla popolazione europea e nella valutazione di eventi non coronarici. Successivamente, l'American College of Cardiology ha sviluppato algoritmi più complessi, includendo il diabete mellito e la terapia antipertensiva.
Come già sottolineato lo SCORE e il più recente SCORE2 rappresentano gli strumenti di riferimento, calibrati su dodici coorti europee, con una versione dedicata per soggetti over 70 anni (SCORE2-OP). In Italia, il Progetto CUORE dell'Istituto Superiore di Sanità offre uno strumento validato per la popolazione italiana, consentendo la stratificazione in sei classi di rischio. Entrambi gli score, tuttavia, non includono esplicitamente le malattie infiammatorie croniche tra i fattori di rischio, motivo per cui le raccomandazioni EULAR ed ESC prevedono l'applicazione di un moltiplicatore correttivo di 1.5 nei pazienti con artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondiloartriti.
Durante la relazione, è stata posta ai partecipanti una domanda esplorativa sull'utilizzo della stima del rischio cardiovascolare nella pratica clinica. I risultati hanno mostrato una buona aderenza teorica alle raccomandazioni: la maggior parte dei partecipanti ha dichiarato di effettuare tale valutazione sistematicamente, mentre solo una piccola percentuale ha indicato di eseguirla raramente. Tali risultati, sebbene incoraggianti, devono essere contestualizzati: i partecipanti erano in larga parte già coinvolti in programmi formativi specifici e quindi più sensibili al tema. Un secondo quesito ha riguardato la conoscenza e l'utilizzo di algoritmi alternativi allo SCORE2 e al Progetto CUORE, tra cui Framingham, Reynolds, QRISK3 ed Expanded Risk Score. È emerso che, nonostante la familiarità teorica con molti di questi strumenti, l'applicazione pratica rimane prevalentemente ancorata allo SCORE2, ritenuto più aggiornato e validato per la popolazione europea.
In particolare, è stato sottolineato che lo SCORE2 offre una stratificazione specifica per età, una calibrazione geografica e un algoritmo specifico per il diabete, rendendolo preferibile in contesto europeo.
È emersa anche una criticità rilevante: gli algoritmi standard, pur validi nella popolazione generale, sottostimano sistematicamente il rischio cardiovascolare nei pazienti con artrite reumatoide. Tale ridotta accuratezza è dovuta all'assenza di variabili specifiche della malattia infiammatoria, come l'attività di malattia, l'uso di corticosteroidi e la durata della patologia. Gli score specifici, come l'Expanded Risk Score, cercano di colmare questa lacuna, integrando variabili reumatologiche quali il punteggio di disabilità (HAQ), la durata della malattia e il trattamento in corso.
Nel corso della discussione, è stato ribadito che, pur in assenza di uno score perfetto, l'importante è procedere comunque alla valutazione del rischio. Lo score, infatti, non solo guida la prevenzione primaria (modifica dello stile di vita, trattamento farmacologico di ipertensione e dislipidemia), ma ha anche valore prognostico, influenzando le scelte terapeutiche, come nel caso della definizione dei target di colesterolemia LDL. Infine, è stata discussa l'importanza dell'integrazione tra algoritmi predittivi e diagnostica per immagini. Tecniche come l'ecografia carotidea per la valutazione dello spessore intima-media (IMT), o l'identificazione delle placche carotidee, rappresentano strumenti validi per affinare la stratificazione del rischio, soprattutto nei pazienti con score borderline. Tale approccio combinato, già previsto dalle raccomandazioni EULAR, si configura come il più efficace per una medicina personalizzata e realmente predittiva.
In sintesi, la stima del rischio cardiovascolare nei pazienti con artriti infiammatorie croniche rappresenta un pilastro della medicina preventiva reumatologica. L'utilizzo sistematico di strumenti validati, l'integrazione con la diagnostica per immagini e la consapevolezza della natura sistemica della patologia costituiscono elementi fondamentali per migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti.
Focus su obesità, iperuricemia e vita sedentaria
La Prof.ssa Bartoloni Bocci ha evidenziato come la valutazione del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche, in particolare artrite reumatoide, non possa più prescindere dall’impiego integrato della diagnostica per immagini, accanto agli algoritmi di calcolo del rischio. Tale approccio permette non solo di affinare la stratificazione del rischio ischemico su base aterosclerotica, ma anche di individuare alterazioni non ischemiche associate a cardiopatia infiammatoria, oggi riconosciuta come una delle principali cause di disfunzione cardiaca nei pazienti reumatologici.
Le tecniche di imaging attualmente disponibili si suddividono tra metodiche non invasive (ecografia vascolare, ecocardiogramma, angio-TC, risonanza magnetica cardiaca) e minimamente invasive (calcium scoring coronarico, valutazione della stiffness aortica). Queste permettono di indagare la struttura macroscopica e la funzione cardiaca, ma anche disfunzioni diastoliche e sistoliche, alterazioni del ritmo cardiaco, coinvolgimento del microcircolo coronarico e infiammazione del tessuto adiposo pericoronarico. Tali alterazioni sono comuni nei pazienti con artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni sistemiche, anche in assenza di stenosi coronarica significativa. L’ecografia carotidea con studio dello spessore medio-intimale (IMT) è la tecnica più accessibile e non invasiva per identificare l’aterosclerosi subclinica. Sebbene il suo valore predittivo isolato sia limitato, si rivela utile per riclassificare il rischio nei pazienti con punteggi intermedi agli score clinici. Il valore predittivo aumenta in presenza di placche, soprattutto bilaterali. Studi longitudinali hanno dimostrato la correlazione tra presenza di placche carotidee e attività clinica di malattia, livelli di PCR, aumento del rischio di eventi coronarici acuti e riduzione della sopravvivenza libera da eventi nei pazienti con artrite reumatoide.
La rigidità arteriosa, valutata mediante Pulse-Wave Velocity (PWV), rappresenta un parametro validato nella popolazione generale e sempre più nei pazienti reumatologici. Metodica riproducibile e di facile esecuzione, la PWV è influenzata da età, fumo, ipertensione, durata della malattia e infiammazione sistemica. Studi prospettici con follow-up hanno evidenziato la correlazione tra alti valori di stiffness aortica e maggiore incidenza di eventi cardiovascolari, ospedalizzazioni e mortalità.
Il Coronary Calcium Score (CAC), ottenuto con TC senza contrasto, è utile per valutare l’aterosclerosi calcificata, ma è poco sensibile per le placche non calcificate, frequenti nei pazienti con artrite reumatoide. L’angio-TC coronarica consente invece di valutare composizione e grado di stenosi della placca, oltre all’infiammazione pericoronarica. Tuttavia, implica una maggiore esposizione a radiazioni.
La composizione della placca ha un impatto predittivo maggiore rispetto alla sola presenza.
Le placche a bassa attenuazione, necrotiche e lipidiche, sono considerate marker di instabilità e fortemente associate a sindromi coronariche acute. Nei pazienti con artrite reumatoide si osserva una maggiore prevalenza di placche vulnerabili non calcificate, con elevato rischio di rottura e trombosi subacuta.
Studi recenti hanno evidenziato che la terapia con farmaci biologici o statine può favorire la trasformazione delle placche vulnerabili in forme più stabili. L’infiammazione del tessuto adiposo pericoronarico, visibile tramite angio-TC, correla con la riserva di flusso coronarico e l’ischemia subclinica.
La disfunzione miocardica infiammatoria è valutabile con ecocardiografia speckle-tracking, più sensibile della frazione di eiezione, e con la risonanza magnetica cardiaca (CMR), che consente di rilevare edema, fibrosi e infiammazione tramite sequenze dedicate (T1, T2 mapping, ECV, LGE). La CMR ha però costi elevati e limitata disponibilità, rendendo necessarie indicazioni selettive per la sua esecuzione.
L’imaging avanzato può guidare una medicina di precisione, consentendo la fenotipizzazione cardiovascolare individuale, il monitoraggio degli effetti della terapia antinfiammatoria e l’identificazione precoce dei pazienti ad alto rischio.
Nei pazienti asintomatici, la CMR è indicata solo in ambito di ricerca o in presenza di anomalie subcliniche suggestive.
Un ulteriore fronte è la disfunzione della microcircolazione coronarica, rilevabile con PET, SPECT, stress CMR o ecocardiografia Doppler da stress. La CFR (Coronary Flow Reserve) ridotta è un predittore indipendente di eventi cardiovascolari, anche in assenza di stenosi angiografica.
Nei pazienti reumatologici è stata osservata una riduzione della CFR, correlata all’infiammazione sistemica, in particolare all’interleuchina-1 (IL-1). Studi hanno suggerito che il blocco dell’IL-1 potrebbe migliorare la disfunzione microvascolare, ma sono necessari follow-up più lunghi per confermare tali effetti.
In sintesi, la gestione integrata del rischio cardiovascolare nei pazienti con malattie reumatiche deve basarsi su un approccio multidisciplinare che combini l’uso di score predittivi, imaging avanzato, dati clinici e laboratoristici. Il reumatologo ha un ruolo centrale non solo nella valutazione articolare, ma anche nella prevenzione delle principali cause di mortalità, tra cui le complicanze cardiovascolari. L’adozione di protocolli condivisi, la collaborazione con il cardiologo, e la selezione appropriata delle metodiche diagnostiche in base al profilo del paziente rappresentano le chiavi per una medicina personalizzata efficace, in grado di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita nei pazienti affetti da artrite reumatoide e altre patologie infiammatorie croniche.
Conclusioni
La gestione del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da artriti infiammatorie croniche rappresenta oggi un elemento imprescindibile della pratica clinica reumatologica. È sempre più evidente la necessità di integrare strumenti predittivi validati, come lo SCORE2 e il Progetto CUORE, con un opportuno fattore correttivo (1.5) nei pazienti reumatologici, a metodiche di imaging selezionate sulla base di criteri di appropriatezza clinica. Tra queste, l’ecografia carotidea, l’angio-TC coronarica e la risonanza magnetica cardiaca offrono un supporto diagnostico essenziale per una stratificazione del rischio più precisa.
L’infiammazione sistemica svolge un ruolo centrale nella genesi della disfunzione vascolare e miocardica, contribuendo in modo determinante all’incremento del rischio cardiovascolare. Parametri come la presenza di placca a bassa attenuazione, l’aumento della rigidità arteriosa e la riduzione della riserva di flusso coronarico si configurano come marcatori precoci e clinicamente rilevanti, utili per intercettare il rischio anche in assenza di manifestazioni cliniche conclamate.
Alla luce di queste evidenze, si impone un approccio clinico multidisciplinare e personalizzato, in cui il reumatologo assuma un ruolo centrale non solo nella gestione dell’infiammazione articolare, ma anche nella prevenzione del danno cardiovascolare. Una comunicazione efficace con il paziente e la collaborazione strutturata con il cardiologo rappresentano elementi chiave per una presa in carico integrata.
Sebbene persistano limiti legati alla disponibilità delle metodiche avanzate e alla necessità di ulteriori studi di validazione, gli strumenti attualmente a disposizione consentono già oggi una gestione più consapevole ed efficace del rischio cardiovascolare nella popolazione reumatologica. Questo approccio integrato ha il potenziale non solo di migliorare la qualità di vita, ma anche di incidere positivamente sulla sopravvivenza a lungo termine di questi pazienti.
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