Sulla nomina dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nell’ambito della responsabilità sanitaria: cosa dice la legge e cosa fanno i giudici

Sulla nomina dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nell’ambito della responsabilità sanitaria: cosa dice la legge e cosa fanno i giudici

Cristina Lombardo

La nomina dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU) e dei periti riveste un ruolo cruciale nei procedimenti giudiziari in materia di responsabilità sanitaria. La normativa vigente stabilisce criteri e modalità di selezione di questi esperti, il cui contributo è essenziale per l’accertamento della verità processuale. Tuttavia, oltre alle disposizioni di legge, è fondamentale analizzare come i giudici interpretano e applicano tali norme nella prassi, incidendo sull’efficacia e sull’equità delle decisioni in ambito medico-legale

Ai fini della valutazione della condotta del sanitario, assume un ruolo dirimente l’indagine peritale disposta dal Giudice. Nei casi in cui sia richiesta una specifica preparazione tecnica, come quelli di malpractice medica, per orientare la propria decisione, il Giudice -pur mantenendo il proprio ruolo di peritus peritorum del processo- sceglie generalmente di affidarsi alle competenze di ausiliari. Il nostro ordinamento riconosce infatti, ad ogni Giudice, la facoltà di effettuare una valutazione tecnica, nominando professionisti di particolare competenza tecnica, iscritti in appositi albi (art. 61 c.p.c. e art.221 comma 1 c.p.p), disponendo così - in ambito civilistico - una Consulenza Tecnica d’Ufficio c.d. C.T.U. e - in ambito penalistico - una Perizia.

In tutti i casi, è quindi necessario che i consulenti/periti nominati possiedano le adeguate competenze e la necessaria esperienza per poter valutare ogni tipo di fattispecie, anche la più complessa. Negli anni, tuttavia, gli Albi dei Consulenti e dei Periti presenti nei diversi Tribunali, oltre a non essere stati opportunamente aggiornati, non sempre hanno garantito la presenza di iscritti con competenze adeguate in tutte le discipline mediche. Per questo, nel 2017, nell’ambito della riforma della disciplina sul contenzioso sanitario (L. 24/2017 - c.d. Legge Gelli-Bianco), il Legislatore ha previsto altresì uno specifico intervento in tema di nomina dei Consulenti e dei Periti nei procedimenti di responsabilità sanitaria e di revisione dei rispettivi albi.

Nella specie, l’art. 15 della citata Legge dispone espressamente, nei procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, sia civili, che penali, che l’Autorità Giudiziaria nomini un collegio peritale formato:

  • da un medico specializzato in medicina legale e non più semplicemente esperto di aspetti medico-legali
  • nonché da uno o più specialisti nella disciplina interessata dalla vertenza

Tale incarico deve inoltre essere conferito a professionisti “che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”, oltre che “adeguate e comprovate competenze” in materia di conciliazione. Tali competenze conciliative potranno essere acquisite “anche” mediante specifici percorsi formativi; la norma non specifica però quali dovranno essere i requisiti, ad esempio, in termini di durata dei corsi, di frequenza di aggiornamento o di qualifica dei soggetti erogatori.

L’Autorità Giudiziaria dovrà altresì avere “cura” di nominare professionisti che non siano in posizione di conflitto di interessi. Anche sul punto, la norma nulla specifica in merito alla natura di tale conflitto e alle modalità di accertamento da parte dell’Autorità Giudiziaria (quanto al significato di conflitto di interessi, potrebbe risultare utile far ricorso a quanto inteso dal Codice Deontologico di categoria, che riconosce un conflitto di interessi in tutte quelle situazioni in cui il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o “di altra natura”).

Quanto alla revisione degli Albi, la Legge Gelli-Bianco ha previsto che – sia in materia civilistica, che penalistica – debbano «essere indicate e documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina». Per questi, in sede di revisione dell’albo, dovrà ora essere indicata anche l’esperienza professionale maturata, con “particolare riferimento” a numero e tipologia degli incarichi conferiti e revocati.

Gli albi dovranno inoltre essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico-legale, un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento.

Al fine di garantire uno standard omogeneo degli Albi su tutto il territorio nazionale, è stato siglato un protocollo di intesa tra Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Consiglio Nazionale Forense e Consiglio Superiore della Magistratura.

Tale protocollo mira ad assicurare “l’adozione di parametri qualitativamente elevati per la revisione e la tenuta degli albi, affinché, in tutti i procedimenti civili e penali che richiedono il supporto conoscitivo delle discipline mediche e sanitarie, le figure del perito e del consulente tecnico siano in grado di garantire all’autorità giudiziaria un contributo professionalmente qualificato e adeguato alla complessità che connota con sempre maggiore frequenza la materia”.

Per questo, in merito al requisito della “speciale competenza” richiesta per i CTU ed i periti, sia dai codici di procedura civile e penale, sia dalla L. 24/2017, nel protocollo, è stato espressamente evidenziato come la competenza “non si esaurisce di norma nel mero possesso del titolo di specializzazione, ma si sostanzia nella concreta conoscenza teorica e pratica della disciplina, come può emergere sia dal curriculum formativo e/o scientifico sia dall’esperienza professionale del singolo esperto”.

A tal fine, il candidato dovrà infatti produrre un “fascicolo” o “scheda personale” contenente:

  • un adeguato curriculum formativo post-universitario, comprensivo dei corsi di livello universitario, corsi di aggiornamento ECM ed eventuali attività di docenza
  • adeguato curriculum professionale, comprensivo di posizioni ricoperte ed attività svolte. Si specifica anche che, nel caso di specialità chirurgiche, venga documentato l’effettivo svolgimento dell’attività chirurgica e la branca di interesse
  • un (eventuale) curriculum scientifico, relativo ad attività di ricerca, pubblicazioni ed iscrizione a società scientifiche
  • (eventuali) riconoscimenti accademici o professionali o “altri elementi che possono connotare l’elevata qualificazione del professionista”
  • incarichi di perito o consulente conferiti o revocati (con motivazione) sia dall’Autorità Giudiziaria (in questo caso, con indicazione dei compensi liquidati) sia dalle parti pubbliche e private
  • iscrizione a società scientifiche
  • competenze in ambito conciliativo
  • “ogni ulteriore elemento che il singolo esperto ritenga utile dichiarare in via volontaria ai fini della valutazione del proprio profilo di competenza da parte dell’autorità giudiziaria”.

Nel protocollo in esame, viene suggerito anche un tempo “minimo” di esercizio della professione dal conseguimento del titolo di specializzazione, “orientativamente” non inferiore ai 5 anni, ad eccezione, dei medici legali poiché il corso di studi è “specificamente volto a fornire competenze funzionali alla collaborazione tecnica con l’amministrazione della giustizia e con gli operatori forensi, e tenuto conto anche della presenza necessaria di questa figura nei procedimenti concernenti la responsabilità sanitaria”. Fanno inoltre eccezione, in senso opposto, i medici di medicina generale e i medici odontoiatri, per i quali il tempo minimo di esercizio della professione, dopo il completamento del percorso di studi è stato elevato a dieci anni.

Nonostante l’intento del Legislatore e delle istituzioni di settore, a livello pratico, a distanza di oltre 7 anni dall’entrata in vigore della Legge Gelli Bianco, permane ancora una certa disomogeneità tra le diverse corti italiane.

Soprattutto nei Tribunali in cui non è presente una sezione specializzata per i procedimenti responsabilità sanitaria, si registra ancora una grave carenza di Consulenti e Periti. Questo inficia il corretto andamento dei processi, a discapito dei pazienti e, nel contempo, anche dei sanitari e delle strutture.

Parimenti, in alcuni Tribunali, i Giudici insistono ancora nella nomina di un solo consulente, tanto che, sul punto, è dovuta addirittura intervenire la Suprema Corte per ribadire l’obbligatorietà e inderogabilità della nomina di un collegio peritale nei giudizi di responsabilità sanitaria regolati dalla richiamata L. 24/2017, precisando che la violazione di tale obbligo comporta la nullità della consulenza, non potendosi evocare, in questi casi, l’art. 191 c.p.c. che prevede la mera "possibilità" di nomina di più consulenti «soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone»; al comma 4 del citato art. 15, si precisa infatti che «nei casi di cui al comma 1, l'incarico è conferito al collegio» (così, Cass. civ., ord. del 12/05/2021 n. 12593).

Quel che emerge è che, malgrado gli sforzi certamente profusi per poter garantire un corretto svolgimento dell’accertamento tecnico (attività centrale nei processi di medmal), il cammino verso la piena attuazione di quanto disposto a livello legislativo non si è ancora concluso; per giungere infatti all’obiettivo voluto dal Legislatore è necessario un impegno concreto e fattivo da parte di tutti gli operatori giudiziari, Giudici, Avvocati e Consulenti/Periti.

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