1. Introduzione ad una patologia complessa
1.1 Inquadramento della malattia di Fabry
La malattia di Anderson-Fabry, così denominata in onore dei due dermatologi che la descrissero indipendentemente nel 1898, è più comunemente nota come malattia di Fabry (FD, Fabry Disease). È una patologia genetica ereditaria da accumulo lisosomiale, caratterizzata dall’accumulo progressivo di glicosfingolipidi, in particolare della globotriaosilceramide (Gb3) e della sua forma deacilata, la globotriaosilsfingosina (lyso-Gb3), all’interno delle cellule di numerosi tessuti e organi.1,2 Le cellule maggiormente coinvolte nella patogenesi della malattia includono le cellule endoteliali vascolari, i podociti, i cardiomiociti e le cellule muscolari lisce arteriose, oltre ad altri tipi cellulari presenti nei reni, nel sistema nervoso e in altri organi.3 L’accumulo di GL3 e lyso-GL3 induce la produzione di citochine, l’attivazione della coagulazione e lo stress ossidativo.4 Questo processo è il risultato di un deficit parziale o completo dell’enzima α-galattosidasi A (α-Gal A), causato da mutazioni del gene GLA, situato sul braccio corto del cromosoma X (Xq22.1).5 La carenza enzimatica determina un danno progressivo agli organi coinvolti, con l’insorgenza di complicanze potenzialmente letali e una ridotta aspettativa di vita.6
1.2 Epidemiologia
L’incidenza globale di FD è generalmente stimata tra 1 su 40.000 e 1 su 117.000 maschi nati vivi.8 Complessivamente, la prevalenza della FD a esordio tardivo è 7-10 volte superiore rispetto alla forma classica.9 La stima accurata della prevalenza è complessa, data l’esistenza di numerose varianti classiche ed atipiche della malattia in tutto il mondo che rendono difficile stabilire quale sia la reale incidenza e frequenza della malattia.1 Tuttavia, dati più recenti suggeriscono che la stima potrebbe essere inferiore alla reale prevalenza della malattia sulla popolazione. In Italia, uno studio condotto da Gragnaniello et al. (2021), ha analizzato un campione di 173.342 neonati, rilevando una variante del gene GLA in 22 maschi e una incidenza della FD di circa un caso ogni 7.879 neonati.10 In assenza di una storia familiare dettagliata o in caso di varianti de novo, la diagnosi presintomatica di FD può essere ottenuta solo attraverso programmi di screening neonatale.11 Il primo studio di screening neonatale è stato condotto proprio in Italia e ha documentato una elevata incidenza di 1 caso su 3.100 di neonati maschi, con un rapporto di 11:1 tra fenotipi ad insorgenza tardiva e fenotipi classici.12 Altri studi hanno riportato incidenze variabili a seconda della popolazione analizzata. Lo studio tailandese di Chien, et al. (2012)13 ha evidenziato un’incidenza ancora più elevata, pari a 1 su 875 neonati maschi (0,114%) e 1 su 399 neonati femmine (0,25%). Più recentemente, lo studio spagnolo di Colon, et al. (2017)14 ha stimato una prevalenza di FD nei maschi di 1 su 7.575 (0,013%). Le differenze nei risultati tra i vari studi riflettono la diversità genetica delle popolazioni e sottolineano l’importanza di strategie di screening personalizzate in base al contesto geografico.
1.3 Trasmissione
Il difetto genetico responsabile della malattia è associato a mutazioni del gene GLA, localizzato sul cromosoma X, e può essere trasmesso sia dagli uomini che dalle donne.15 Ad oggi, sono state identificate circa 1.000 varianti genetiche nelle regioni codificanti di GLA (Human Gene Mutation Database, https://www.hgmd.cf.ac.uk/), non tutte patogeniche, cioè associate sicuramente alla malattia. Poiché le femmine possiedono due copie di questo cromosoma, mentre i maschi ne hanno una sola, la trasmissione della malattia segue un modello distinto tra i due sessi.15
- Gli uomini portatori della mutazione trasmettono il gene alterato a tutte le figlie, ma non ai figli maschi.
- Le donne portatrici hanno una probabilità del 50% di trasmettere la mutazione a ciascun figlio, durante ogni gravidanza, indipendentemente dal sesso. (Fig.2)
Figura 2. Trasmissione ereditaria della mutazione GLA nel padre e nella madre.
1.4 Trasmissione
La diagnosi di FD può risultare difficile a causa delle sue caratteristiche: l'eterogeneità del quadro clinico e la complessità delle sue manifestazioni cliniche, i segni e sintomi aspecifici e il fatto che si tratta di una malattia poco considerata.16 Spesso la diagnosi di FD viene effettuata in ritardo, quando il danno causato dalla malattia è già irreversibile.17 La diagnosi definitiva nei maschi emizigoti si basa sulla dimostrazione di un marcato deficit enzimatico, sia nella variante classica che in quelle ad insorgenza tardiva, confermata dal test genetico per l’individuazione della mutazione patogenetica. Nelle femmine eterozigoti, il dosaggio di α-Gal A non è conclusivo, rendendo necessario il test genetico.16 Il Lyso-Gb3 ematico è un marcatore utile e attendibile, ma nelle donne lo studio genetico rimane indispensabile.18 La diagnosi prenatale è facilmente ottenibile con test genetico in DNA da villi coriali o liquido amniotico (colture cellulari di amniociti possono essere utilizzate per il dosaggio dell’attività enzimatica).1 L’analisi dell’albero genealogico e la consulenza genetica sono essenziali per i pazienti con malattia di FD, poiché i familiari potrebbero necessitare di test genetici per una corretta identificazione del rischio. La Figura 3 illustra l’algoritmo attualmente utilizzato per la diagnosi della FD. Lo screening neonatale e gli studi di screening sui pazienti ad alto rischio possono consentire una diagnosi precoce e, di conseguenza, l’inizio di un’efficace terapia di sostituzione enzimatica.11 In particolare, lo sviluppo e l’estensione degli screening negli individui a rischio (pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra senza causa, malattia renale, ictus giovanile, malattie del sistema nervoso centrale) ha permesso di scoprire nuovi casi di FD.19
Figura 3. Algoritmo per la diagnosi della malattia di Fabry. Adattato da Amodio, 2022.5
2. Manifestazioni cliniche e complicanze
Le manifestazioni cliniche della FD progrediscono lentamente, con esordio, gravità, età di insorgenza e decorso variabili, a seconda del sesso e del grado di deficit dell’enzima α-Gal A.5 La malattia colpisce sia le femmine che i maschi, ma, essendo una patologia X-linked, i maschi presentano una manifestazione clinica più grave.20 La FD può essere classificata in due principali fenotipi: classico e non classico (anche detto a esordio tardivo). I pazienti con la forma classica presentano un’attività di α-Gal A gravemente ridotta o assente, con sintomi aspecifici che esordiscono fin dall’infanzia. Tra questi si riscontrano dolore neuropatico con bruciore agli arti inferiori e superiori, disturbi gastrointestinali, febbre ricorrente, ipoidrosi, ipoacusia, cornea verticillata (opacità corneale identificabile con esame a lampada a fessura) e angiocheratomi.6,21 Le ultime due manifestazioni sono considerate patognomoniche della malattia. Con il progredire della malattia, il coinvolgimento sistemico porta a manifestazioni conclamate, tra cui insufficienza renale, ictus giovanile e ipertrofia ventricolare sinistra.22,23 La forma a esordio tardivo, la cui diagnosi può risultare ancora più complessa, è caratterizzata da un’attività enzimatica residua e sintomi prevalentemente confinati al cuore. In questi pazienti, la malattia può manifestarsi con una cardiomiopatia ipertrofica, che si presenta in diverse varianti, tra cui la forma ostruttiva, non ostruttiva e apicale.22,23 L’ampio spettro clinico dei sintomi e delle complicanze è illustrato nella Figura 4.
Figura 4. Sintomatologia precoce e complicanze tardive della FD.
Il danno progressivo, organico e tissutale, associato alla malattia di Fabry può esitare in una riduzione significativa dell’aspettativa di vita.24 La sopravvivenza mediana in epoca precedente all’introduzione della terapia enzimatica sostitutiva era di 50 anni nei maschi e di 70 anni nelle femmine, con una riduzione di 20 anni e 15 anni (rispettivamente) della durata della vita rispetto alla popolazione generale.25,26 (Fig.5)
Figura 5. Impatto della Malattia di Fabry sulla durata media della vita utilizzando il metodo di Kaplan-Meier per l’analisi della sopravvivenza. Adattato da: MacDermot KD et al. 200125; MacDermot KD et al. 200126
2.1 Coinvolgimento cardiovascolare
Il cuore rappresenta uno dei principali organi bersaglio nella FD e riveste un’importanza cruciale per la sua frequenza.27 L'accumulo di Gb3 che può essere rilevato già nell’infanzia e nell’adolescenza, interessa tutti gli stipiti cellulari, inclusi i cardiomiociti, le cellule endoteliali e le fibrocellule muscolari lisce, con conseguente interessamento dell’endocardio, del miocardio, dei vasi intramurali e del tessuto di conduzione.23,27,28 Il coinvolgimento cardiaco si manifesta prevalentemente con ipertrofia ventricolare sinistra (LVH) progressiva, cardiomiopatia ipertrofica (HCM), fibrosi miocardica, insufficienza cardiaca e aritmie.29 La LVH imita le caratteristiche morfologiche e cliniche della cardiomiopatia ipertrofica ed è associata a disfunzione diastolica del ventricolo sinistro e a una frazione di eiezione conservata, che può ridursi nelle fasi avanzate della malattia.30 È riscontrabile nel 50% dei pazienti maschi e nel 33% delle pazienti femmine affetti da FD.31 Il coinvolgimento dei vasi intramurali determina modificazioni strutturali e funzionali, causando ischemia miocardica.30,32 Di conseguenza, si sviluppano fibrosi progressiva e anomalie della conduzione, con un aumentato rischio di aritmie ventricolari.33 Il coinvolgimento del sistema cardiovascolare aumenta progressivamente con l’età, spesso più precoce nel maschio e più tardivo nelle femmine. Nella cosiddetta variante cardiaca della FD, il cuore può essere l’unico organo coinvolto, creando difficoltà diagnostiche, in particolare nella distinzione dalla cardiomiopatia ipertrofica.30,34 Il coinvolgimento cardiaco nella malattia contribuisce a una riduzione dell’aspettativa di vita del paziente22,27,28,35 rappresentando la principale causa di morte sia negli uomini emizigoti che nelle donne eterozigoti.
2.2 Coinvolgimento renale
Il danno renale è dovuto all’accumulo di glicosfingolipidi neutri, in gran parte Gb3, nelle cellule renali. Nei pazienti di sesso maschile con forma classica di FD, l’albuminuria patologica, definita da un rapporto albumina/creatinina urinaria > 30 mg/g (criterio diagnostico di malattia renale cronica - CKD - se persistente per oltre 3 mesi), tende a manifestarsi tra la seconda e la terza decade di vita. Questo parametro rappresenta un fattore di rischio indipendente per la progressione della nefropatia, sia nei pazienti sottoposti a trattamento che in quelli non trattati.1 L’albuminuria può aumentare progressivamente e associarsi a un quadro più ampio di proteinuria, fino a culminare, nelle fasi avanzate della malattia, nell’insufficienza renale terminale (ESRD).36 La progressione della disfunzione renale rappresenta una delle cause di morbilità e mortalità prematura nella FD, soprattutto nei pazienti di sesso maschile, e può portare alla necessità di un trapianto renale.37
2.2 Coinvolgimento del Sistema Nervoso Periferico e Centrale
Le alterazioni del sistema nervoso periferico rappresentano una delle prime manifestazioni della FD con un’età media di insorgenza compresa tra i 9 e i 10 anni. La neuropatia periferica causa dolore all’estremità delle mani e dei piedi acroparestesie e disturbi gastrointestinali. Il dolore agli arti, spesso di tipo urente e persistente, tende a intensificarsi in seguito a sforzo fisico, stress o episodi febbrili. A causa della sua presentazione clinica, può essere erroneamente diagnosticato come malattia reumatica o artrite reumatoide giovanile. La vasculopatia del sistema nervoso centrale può portare a TIA o a veri e propri ictus. Questa complicanza, più tardiva rispetto alle precedenti, rappresenta una delle cause di ictus criptogenetico giovanile.7
3. Strategie terapeutiche
Gli obiettivi terapeutici primari per la FD sono la riduzione dei sintomi per migliorare la qualità della vita, la prevenzione del coinvolgimento multiorgano e il rallentamento della progressione della malattia per aumentare l’aspettativa di vita.38 Fino alla fine degli anni ’90, il trattamento della FD era essenzialmente palliativo e non agiva sulle cause della malattia.5 L’introduzione nel 2001 della terapia enzimatica sostitutiva (ERT, Enzyme Replacement Therapy) ha significativamente modificato il decorso della FD.23 Negli ultimi anni sono state sviluppate ulteriori opzioni terapeutiche, tra cui le molecole chaperone e gli enzimi modificati (pegilati), mentre attualmente sono in corso studi clinici sulla terapia genica.38
3.1 Terapia enzimatica sostitutiva (ERT)
Il trattamento principale per la FD è la terapia enzimatica sostitutiva (ERT), il cui obiettivo è sostituire l’enzima α-galattosidasi A carente nei pazienti.39,40 Lo sviluppo della ERT è stato reso possibile grazie alla clonazione del gene GLA e all’analisi strutturale dell’enzima, che hanno consentito la produzione della α-galattosidasi A umana ricombinante.41 Dal 2001 sono disponibili commercialmente due formulazioni distinte di α-Gal A ricombinante: l’agalsidasi α (Replagal) e l’agalsidasi β (Fabrazyme).42,43 Entrambe contengono α-galattosidasi A ricombinante, ma vengono prodotte con metodologie differenti e sono approvate per la somministrazione a dosaggi diversi. Attualmente, sia gli studi basati sui dati dei registri internazionali sia le ricerche multicentriche hanno confermato che la ERT può contribuire alla prevenzione, stabilizzazione o rallentamento della progressione del danno istologico e funzionale negli organi coinvolti.23,28,44,45 Gli studi clinici hanno dimostrato che il trattamento con agalsidasi α, la prima molecola approvata in Europa, è sicuro ed efficace nel contrastare la patogenesi dei principali sintomi clinici della malattia.46 Inoltre, i dati a lungo termine derivati dal Fabry Outcome Survey (FOS), un registro internazionale avviato nel 2001, indicano che il trattamento con agalsidasi α, è in grado di rallentare il declino della funzione renale e la progressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra.47-50 La ERT può essere associata allo sviluppo di anticorpi anti-agalsidasi (ADA) e a reazioni correlate all’infusione (IRRs).51-52 Studi clinici hanno riportato la presenza di ADA nell’83% dei pazienti adulti trattati con agalsidasi β e nel 9,4% dei pazienti maschi trattati con agalsidasi α. Inoltre, le IRRs si sono verificate nel 59% dei pazienti trattati con agalsidasi β e nel 13,7% di quelli trattati con agalsidasi α.53 Sebbene non siano ancora state definite vere e proprie Linee Guida riguardo al momento ottimale per l’inizio della ERT nei pazienti con FD, vi è un consenso unanime nell’avviare il trattamento il più presto possibile in tutti i pazienti di sesso maschile e nelle femmine che presentano segni e sintomi di coinvolgimento d’organo.54
3.2 Altre Opzioni Terapeutiche
La terapia chaperonica (migalastat) è stata approvata per il trattamento della FD nell’Unione Europea nel 2016 e negli Stati Uniti nel 2018. Sebbene questa terapia offra una via di somministrazione orale più pratica e non sia soggetta allo sviluppo di ADA, il suo utilizzo è limitato a un sottogruppo di pazienti con mutazioni specifiche suscettibili al trattamento, presenti in circa il 35-50% dei pazienti affetti da FD.45,53,55 Il trattamento con ERT dovrebbe essere associato, se indicato, a terapie di supporto per una gestione clinica ottimale delle complicanze renali, cardiache, neurologiche e di altri organi derivanti dal danno tissutale cronico indotto dalla FD.22 Tra gli interventi sullo stile di vita, la terapia dietetica rappresenta un supporto essenziale nella gestione di questi pazienti, soprattutto per il controllo dei disturbi gastrointestinali. Le evidenze cliniche suggeriscono che una dieta Low-FODMAP, a basso contenuto di Oligosaccaridi, Disaccaridi, Monosaccaridi e Polioli Fermentabili sia particolarmente efficace nel migliorare i sintomi e la qualità di vita dei pazienti con FD.56 Data la complessità della FD, è essenziale la collaborazione tra specialisti di diverse discipline per una gestione integrata e personalizzata mirata all'inizio tempestivo di efficaci terapie specifiche.57 (Fig. 6)
Fig. 6. Gestione Multidisciplinare nei pazienti con FD. Adattato da Paim-Marques L, et al., 202257
4. Importanza dell’aderenza nella Malattia di Fabry
L’esperienza del paziente con un farmaco dipende dall’equilibrio tra benefici percepiti, tollerabilità, praticità d’uso e accesso alla terapia. Un approccio che riduca gli effetti avversi e migliori la qualità della vita è essenziale per garantire un’adeguata aderenza e di conseguenza per ottimizzare gli esiti terapeutici. L’aderenza è particolarmente complessa nelle malattie croniche, dove la terapia richiede un impegno prolungato anche in assenza di sintomi acuti, con regimi spesso onerosi dal punto di vista logistico ed economico. L'aderenza regolare alla terapia è cruciale per mantenere i benefici clinici delle ERT. Le principali cause di interruzione includono la percezione di scarsi benefici dall’ERT, gli effetti collaterali, come vampate, brividi, senso di costrizione alla gola e alterazione del gusto oltre a una percezione di squilibrio tra il carico della terapia e i benefici attesi. Nei pazienti con malattia di Fabry, interruzioni o l somministrazioni irregolari possono ridurre l'efficacia del trattamento e compromettere i risultati a lungo termine determinando una riduzione della qualità della vita e una più rapida progressione della malattia.58,59
4.1 Percezione di efficacia
Diversi fattori possono influenzare la capacità e la motivazione dei pazienti a seguire il trattamento, soprattutto nel caso dei pazienti naïve. La percezione dell’efficacia della terapia ha un impatto significativo sull’aderenza. I pazienti che non percepiscono miglioramenti evidenti, o che ritengono i benefici limitati rispetto agli effetti collaterali, sono più inclini a interrompere il trattamento.59 La soddisfazione del paziente nei confronti del trattamento (oltre al più ampio concetto di soddisfazione per l’assistenza ricevuta) è stata associata ad una migliore aderenza e una compliance terapeutica. Studi condotti su diverse popolazioni di pazienti, tra cui quelli in trattamento per il dolore cronico, il diabete di tipo 2, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, la fibrosi cistica, la depressione e l’ipertensione, hanno evidenziato questa correlazione.59 Dato il legame tra la percezione dell’efficacia del trattamento e l’aderenza terapeutica, comprendere i fattori che i pazienti considerano per valutare l’efficacia di una terapia può aiutare i clinici a personalizzare meglio le interazioni con i pazienti, affrontando specificamente questi aspetti.
4.2 Tollerabilità e immunogenicità
La comparsa di effetti avversi o la preoccupazione per possibili reazioni indesiderate rappresentano una delle principali barriere all’aderenza al trattamento.60 Durante il trattamento con ERT è possibile l’insorgenza di reazioni avverse come malessere, brividi, febbre, tachicardia, ipertensione o ipotensione. Queste reazioni sono più frequenti nelle prime infusioni, ma tendono a ridursi nel tempo. L’uso di farmaci antipiretici e la riduzione della velocità di infusione si sono dimostrati efficaci nell’attenuare tali effetti, permettendo la prosecuzione della terapia. Con agalsidasi alfa, queste reazioni sono meno comuni, verificandosi in meno del 20% delle infusioni. Inoltre, risultano generalmente lievi e non compromettono la continuità del trattamento.23 Sebbene generalmente ben tollerata, la ERT può essere associata a eventi avversi, come le reazioni da infusione (Infusion Associated Reactions, IARs), che possono causare ritardi o interruzioni del trattamento o lo sviluppo di anticorpi antifarmaco (Anti-Drug Antibodies, ADAs), in grado di interferire con l’efficacia della terapia e aggravare le IARs.61 Lo sviluppo di ADA è un evento che può verificarsi in una percentuale compresa tra il 50% e l’88% dei pazienti, principalmente nei soggetti di sesso maschile con fenotipo classico. Gli ADA sono in grado di reagire sia con l’agalsidasi alfa che con l’agalsidasi beta, sebbene la loro prevalenza sia inferiore nei pazienti trattati con agalsidasi alfa.23,44 Negli studi clinici, gli ADAs sono stati rilevati nell’83% dei pazienti adulti trattati con agalsidasi beta e nel 9,4% dei pazienti di sesso maschile trattati con agalsidasi alfa.53 Le IARs sono state segnalate nel 59% dei pazienti trattati con agalsidasi beta e nel 13,7% di quelli trattati con agalsidasi alfa.53 La presenza di ADAs e IARs può rendere necessaria una premedicazione e tempi di infusione più lunghi, aumentando il burden terapeutico dei pazienti con FD.53 La presenza di anticorpi neutralizzanti è correlata a una ridotta efficacia della ERT, a livelli più elevati di liso-Gb3 sierico e a sintomi clinici più severi.
4.3 Premedicazione e impatto sul carico terapeutico
In una survey condotta su 280 pazienti con FD con l’obiettivo di valutare la loro esperienza con la ERT, uno degli aspetti esaminati è stato l’uso della premedicazione per prevenire o gestire le reazioni da infusione.53 I risultati mostrano che il 53% dei pazienti in trattamento attivo con ERT e il 66% di quelli che avevano ricevuto ERT in passato utilizzavano la premedicazione. Tuttavia, il 42% di questi pazienti ha riferito che l’uso di farmaci pretrattanti, come antistaminici e corticosteroidi, poteva prolungare la durata delle infusioni e rendere più complessa la gestione terapeutica, complicando il burden della malattia, con un potenziale impatto negativo sull’aderenza a lungo termine.53
4.4 Tempi di infusione e necessità di pretrattamenti
Anche la durata dell’infusione può influenzare significativamente l’aderenza al trattamento nei pazienti con FD. Agalsidasi alfa prevede un tempo di infusione di circa 40 minuti, mentre agalsidasi beta ha un’infusione iniziale significativamente più lunga, di almeno 4 ore (240 minuti), con una possibile riduzione progressiva fino a 90 minuti in base alla tolleranza del paziente. Lo studio di Mignani et al. (2024) ha dimostrato che una riduzione dei tempi di infusione migliora l’esperienza del paziente, la compliance terapeutica e la qualità della vita, senza compromettere la sicurezza o l’efficacia del trattamento.62 Questi risultati suggeriscono che infusioni più rapide, come quelle previste per agalsidasi alfa, potrebbero rappresentare un vantaggio per i pazienti, riducendo il carico terapeutico e facilitando la continuità della terapia.53
4.5 Vantaggi della terapia domiciliare
La disponibilità di un modello di assistenza domiciliare, costruito attorno alle esigenze del paziente e alle sue abitudini quotidiane, può favorire un miglioramento dell’aderenza al trattamento, riducendo il numero di interruzioni terapeutiche e garantendo una maggiore conformità alla dose e al programma di somministrazione della terapia della FD.63 Questo è quello che è stato dimostrato in uno studio multicentrico, osservazionale e longitudinale condotto su 85 pazienti italiani con FD che ha analizzato 4.269 infusioni, dimostrando che la somministrazione domiciliare della ERT migliora l’aderenza, riducendo le interruzioni terapeutiche e aumenta la conformità alla dose e al calendario terapeutico.63 Dal 2008, in Italia, è stato implementato un programma di infusione domiciliare per i soggetti affetti da FD trattati con agalsidasi α. Questo servizio è stato sviluppato per ridurre la necessità di frequenti spostamenti e ricoveri ospedalieri legati alla somministrazione periodica per via endovenosa della ERT. Simili programmi domiciliari sono stati sviluppati anche per la terapia con agalsidasi β e per pegunigalsidasi α. Nel 2022, l’EMA ha approvato la somministrazione domiciliare di agalsidasi alfa, consentendo l’autoinfusione da parte del paziente, in presenza di un adulto responsabile, o la somministrazione da parte di un caregiver. Questa opzione, previa valutazione e raccomandazione del medico curante, rappresenta un ulteriore passo per facilitare l’accesso alla terapia e migliorare l’aderenza alla ERT.
Messaggi chiave
- La malattia di Fabry è un grave disturbo multisistemico che esordisce nell’infanzia e segue un decorso cronico progressivo
- Studi recenti hanno suggerito un’incidenza molto più elevata di quanto precedentemente stimato
- Il coinvolgimento cardiaco, l’insufficienza renale progressiva, e gli eventi cerebrovascolari sono le maggiori complicanze che riducono significativamente l’aspettativa di vita sia negli uomini che nelle donne
- La terapia enzimatica sostitutiva rimane il trattamento principale per modificare il decorso della malattia, con tre formulazioni attualmente approvate
- La terapia con α-galattosidasi A umana prodotta mediante tecnologia genetica è sicura ed efficace
Si ringrazia Takeda Italia S.p.A. per il contributo incondizionato
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