Nel precedente articolo abbiamo trattato gli aspetti penalistici della Proposta D’Ippolito Leggi l'articolo.
Per quanto concerne invece gli aspetti civilistici, la Commissione in esame ha presentato una serie di modifiche agli attuali testi degli art. 5 e 7 della Legge n. 24/2017, c.d. Legge Gelli-Bianco, trasponendo, anche in ambito civile, alcuni dei principi affermati in ambito penale, al fine di «armonizzare la disciplina privatistica con i principi generali accolti sul piano penalistico».
Sulla scorta di quanto affermato in ambito penale, la Commissione ha quindi voluto dare risalto, anche nel processo civile, alla diligenza professionale dell'esercente la professione sanitaria adeguata alla specificità del caso concreto.
Ha pertanto chiarito, in primo luogo, come la conformità della condotta del medico alle linee guida pubblicate ai sensi di legge o, in mancanza di esse, alle buone pratiche clinico assistenziali ovvero alle "altre scelte diagnostiche e terapeutiche", escluda radicalmente (anche) la responsabilità civile, sia per la struttura sanitaria sia per l'esercente la professione sanitaria, escludendo l’illiceità del fatto. L’attuale testo della norma prevede infatti (espressamente) che il giudice civile valuti il rispetto di tali standard solo in termini di quantificazione e quindi di riduzione del risarcimento.
Per evitare però che il rispetto di tali modelli possa comportare un irrigidimento della condotta del medico solo a livello formale e astratto, la Commissione ha voluto dare altresì rilievo all'esigenza di adeguatezza della condotta del medico rispetto alla "specificità del caso concreto", anche in ambito civile. In tal senso, si è scelto di valorizzare l’autonomia professionale del medico e, nel contempo, la sua responsabilità di adottare scelte diagnostiche e terapeutiche che, secondo la sua valutazione professionale, risultino più adeguate alle specificità del caso sottoposto al suo esame.
Per quanto concerne gli aspetti di qualificazione della responsabilità civile, la Commissione ha mantenuto il doppio binario già previsto dall’attuale art. 7, ossia:
- responsabilità contrattuale - ex artt. 1218 e 1228 c.c., per la struttura sanitaria o sociosanitaria;
- responsabilità extracontrattuale - ex art. 2043 c.c., per l’esercente la professione sanitaria, salvo che non abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente.
Per evitare però che l'esercente la professione sanitaria si faccia carico dell’onere probatorio previsto dall’art. 1218 c.c., anche quando la sua prestazione non sia stata resa in adempimento di una obbligazione contrattuale con il paziente, la Commissione ha voluto uniformare il regime dell'onere della prova nel settore sanitario, stabilendo «che, in ogni caso, grava sul danneggiato l'onere di provare che la specificità del caso concreto avrebbe richiesto una condotta diversa da parte della struttura sanitaria o sociosanitaria o da parte dell'esercente la professione sanitaria».
Infine, nel testo dell’art. 7 proposto dalla Commissione, al comma 6, si ribadisce la regola generale stabilita dall’art. 2236 c.c., secondo la quale, ove la prestazione professionale implichi la soluzione di problemi tecnici di 'speciale difficoltà', l'esercente la professione sanitaria risponderà del danno solo in caso di dolo o colpa grave.
Tale articolo prevede una ipotesi di attenuazione della responsabilità civile del prestatore d’opera, limitata ai soli casi di imperizia lieve.
Nello specifico ambito sanitario, negli anni, la portata di tale responsabilità «attenuata» è stata considerevolmente ridimensionata, sia perché la scienza medica si è notevolmente evoluta, riducendo le ipotesi di soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, sia perché lo standard di diligenza richiesto al professionista non è quello “normale”, bensì quello “qualificato” dello specialista ex art. 1176 c. 2 cc.: di regola, uno specialista deve essere in grado di gestire anche la situazione peculiare del paziente.
Per questo, per molto tempo, la giurisprudenza ha abbandonato la distinzione tra interventi di facile o difficile esecuzione e dunque l’applicabilità di tale limitazione di responsabilità, se non per specifici casi:
- che trascendono la preparazione media;
- che non sono ancora stati studiati dalla scienza medica, poiché in sperimentazione o ancora in discussione;
- che sono oggetto di sistemi diagnostici, terapeutici o di tecnica chirurgica diversi e incompatibili tra loro
- che vengono gestiti in una particolare contingenza, ad esempio, di emergenza («situazione intossicata dall’impellenza che, solitamente, rende quasi sempre difficili anche le cose facili», così, Cass. pen. 4391/2011 e Cass. pen. 15258/2020).
Possiamo quindi dire che per valutare la concreta esigibilità della condotta astrattamente doverosa, secondo la giurisprudenza ormai costante, devono prendersi in considerazione le circostanze del caso concreto, ossia:
- la difficoltà dell’intervento o novità tecnico-scientifica
- la contingenza nella quale svolge la propria attività il sanitario: difficoltà con cui ha dovuto confrontarsi e contesto in cui ha operato;
- bilanciamento di fattori: condizioni del soggetto agente e suo grado di specializzazione, situazione ambientale di particolare difficoltà – (la Cassazione parla di attività svolta non «in laboratorio sotto una campana di vetro», ma in una condizione di emergenza-urgenza).
Muovendo quindi da tali principi, la Commissione, ha proposto - al comma 7 - una elencazione di ipotesi nelle quali si ravvisa tipicamente una 'speciale difficoltà' della prestazione sanitaria, ossia:
- la scarsità delle risorse umane e materiali disponibili
- la mancanza o la limitatezza di conoscenze scientifiche o di terapie adeguate
- la severità e la complessità della malattia
- la presenza di situazioni di rilevante urgenza o emergenza
Al comma 8, viene inoltre proposta una tipizzazione di casi nei quali la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria "si configura per colpa grave", quando cioè il danno subìto dal paziente sia derivato:
a) dalla mancata adozione di comuni cautele;
b) dalla irragionevole omessa adozione degli indirizzi di diagnosi e cura adeguati alla specificità del caso concreto ovvero di tecniche alternative, comunemente praticate, richieste dalla specificità del caso concreto;
c) dal fatto che l'esercente la professione sanitaria ha imprudentemente operato oltre i limiti della propria capacità e competenza tecnica, salvo il caso in cui la prestazione sia stata resa in una situazione di urgenza o emergenza.
Tali disposizioni vengono espressamente indicate come inderogabili.
Dal quadro della proposta emerge quindi nuovamente la volontà di tener conto delle particolari condizioni in cui i sanitari si trovino ad operare, definendo l'area dei comportamenti da loro effettivamente esigibili, al fine di garantire una maggiore serenità nello svolgimento dell’attività medica.
Ma chi li ha mai viste queste linee guida???? Per salvare il sistema sanitario nazionale bisogna abolire la responsabilità professionale del medico altrimenti non ci sarà speranza per salvare il sistema sanitario nazionale,andrà sempre peggio, questo lo dicono nell' interesse dei cittadini
Trovo molto ben articolata la proposta così come qui descritta. In particolare sottolineo l'importanza di evitare che "il rispetto di tali modelli (cioè di linee guida e di protocolli) possa comportare un irrigidimento della condotta del medico solo a livello formale e astratto" poiché il Medico davanti al caso clinico concreto deve sempre essere in grado di ragionare autonomamente. Inoltre si tiene conto giustamente della possibile (e forse sempre più frequente) "scarsità delle risorse umane e materiali disponibili", fatto che comporta aggravio di stanchezza a carico del Medico e di tutto il Personale. Grazie Cordiali saluti